Plenaria Ceem in Vaticano: una necessità la presenza della Chiesa in Internet
La presenza della Chiesa in Internet non è un’opportunità ma una necessità perché
senza questa presenza non riuscirebbe a dialogare con migliaia di giovani. E’ quanto
ha detto ieri pomeriggio il cardinale Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria e vicepresidente
del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) all’apertura in Vaticano
dell’Assemblea plenaria della Commissione episcopale europea per i Media (Ceem) sul
tema “La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa”. Ecco ampi stralci
dell’intervento del cardinale Bozanic, seguito da quello del vescovo di Gap e
Embrun, mons. Jean-Michel di Falco Léandri, presidente della Ceem:
1. Desidero
innanzitutto, anche a nome della Presidenza del CCEE, porgervi un cordiale saluto
e ringraziarvi per avere accolto l’invito del CCEE attraverso la CEEM, la sua Commissione
Episcopale Europea per i Media, a prendere parte a questo incontro. Da questo pomeriggio
e fino a domenica rifletteremo insieme su un tema di particolare importanza e attualità,
anche per la Chiesa, quello de La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa.
Desidero sin d’ora augurare a tutti un buon e proficuo lavoro. Sono certo che quanto
ascolteremo e discuteremo in questi giorni sarà di arricchimento per noi e attraverso
di noi per le singole Conferenze episcopali e la Chiesa in Europa. Credo
che la scelta stessa del titolo di questa assemblea denota due cose: Internet non
è solo un recipiente che raccoglie diverse culture. Internet è cultura. Internet produce
cultura. E allora appare evidente chiedersi quale rapporto intrattiene questa “nuova”
cultura con quelle dette “tradizionali”. Dall’altra parte abbiamo la comunicazione
della Chiesa. Una comunicazione che è iniziata più di 2000 anni fa. E allora è lecito
chiedersi: quali implicazioni ha la presenza di Internet, oggi, per la missione della
Chiesa? Quali ripercussioni ha nell’opera di evangelizzazione delle culture e di inculturazione
della fede? Come internet è entrato nella pastorale ordinaria delle nostre diocesi
e delle nostre parrocchie? 2. Finora Internet è stato considerato
per lo più come uno strumento: uno strumento tutto sommato recente ma ormai largamente
diffuso, specie in Europa. Una diffusione tale che sta modificando anche il nostro
modo di pensare e comunicare. Internet è uno strumento di comunicazione di massa che
crea una comunità: la comunità virtuale dei cibernauti. Ma Internet sarà solo uno
strumento? Questo lo potevamo pensare 3 o 4 anni fa! Oggi bisogna prendere atto che
Internet è innanzitutto un mondo, che qualcuno ha voluto addirittura definire il “settimo
continente”. E questo mondo è una realtà non così distante da noi. Il crescente peso
che sta assumendo Internet nella vita delle persone in generale, e non solo dei nostri
fedeli, ci impone quindi di annunciare il Vangelo anche in questo altro mondo. L’amalgama
di mentalità, modelli di pensiero, visione dell’uomo e stili di vita presenti nella
rete influenza sempre più quello che finora si potevano definire le “culture tradizionali”,
fino a trapiantarle. Per la maggior parte delle persone, specie per i giovani, per
quella web generation che è cresciuta su internet, questo luogo virtuale, il mondo
dei nuovi media, sta diventando lo spazio principale dove avviene la loro formazione
umana, morale e conoscitiva. E’ in Internet che è possibile capire e si costruisce
il nuovo modo di percepire la relazione interpersonale, la cultura, il rapporto con
il trascendente, con la conoscenza e lo stesso Tempo. Un tempo ormai segnato dall’hic
et nunc (qui ed ora) di una risposta immediata, fatta di un continuo flusso di notizie
e di sollecitazioni di varia natura. Per questa web-generation, Internet non è una
sfera dissociata dalla loro esistenza, ma semplicemente il prolungamento. E’ su Internet
che creano legami sociali e imparano a vivere! Questo mondo però evoca allo stesso
tempo paura e entusiasmo perché offre tante possibilità. Internet è il mondo della
prima comunità nella storia umana ad essere continuamente e psichicamente collegata
senza limitazioni di spazio e di tempo. Mi sembra chiaro che non si tratta qui di
sapere se Internet sia una cosa buona o cattiva. Come qualsiasi strumento posto nella
mano dell’uomo, Internet diventa ciò che l’uomo stesso decide che diventa! In questo
senso va interpretato l’invito del Santo Padre nel suo messaggio per la Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali 2009 quando scrive: “In questa luce, riflettendo sul significato
delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro indubbia capacità
di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualità dei contenuti che esse
sono chiamate a mettere in circolazione. Desidero incoraggiare tutte le persone di
buona volontà, attive nel mondo emergente della comunicazione digitale, perché si
impegnino nel promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia”. 3.
Dall’altra parte abbiamo la Chiesa: una istituzione millenaria fatta di uomini e “maestra
di comunicazione” con un compito molto specifico: proseguire nella storia la missione
evangelizzatrice di Cristo, annunciando la buona novella a tutti gli uomini. Nella
sua storia millenaria la Chiesa ha sempre saputo cogliere la bontà degli strumenti
di comunicazione sociale per l’edificazione del genere umano. In non pochi casi ne
fu anche una grande promotrice. È nella natura stessa della Chiesa quale comunità
dialogante che nasce il suo interesse per i media e per Internet. Essa infatti è consapevole
che “una fede che non diventa cultura, non è una fede pienamente accolta, non interamente
pensata, non fedelmente vissuta” . Ora proprio questo rapporto tra fede e cultura
non è altro che un incontro segnato dall’interattività. E proprio l’interattività,
è una delle componenti fondamentali che caratterizza questo particolare mondo che
chiamiamo Internet. Oggi la Chiesa ha di fronte a sé una nuova sfida: quella innanzitutto
di essere presente sulla rete con il suo messaggio di amore. Ma la Chiesa può inoltre
essere l’istituzione promotrice di un ethos condiviso. La Chiesa può indicare i criteri
etici e morali, universalmente validi, riconoscibili nei valori umani e cristiani,
tanto a coloro che usano Internet per svariati motivi (svago, ricerche, informazione…)
quanto a chi se ne occupa professionalmente ovviamente nel rispetto della loro autonomia.
Se è chiaro che la Chiesa ha un compito ed un dovere nei confronti degli utenti della
rete, è realmente necessario che la Chiesa sia su Internet? Qualcuno risponderebbe
che l’esserci più che un’opportunità è una necessità! Una necessità della Chiesa perché
essa non rimanga a margine dello sviluppo tecnologico; perché senza questa presenza
non riuscirebbe a dialogare con migliaia di giovani, primi attori di questa realtà;
perché risulterebbe antiquata o perché è un imperativo della storia in quanto oggi
la comunicazione passa per grande parte da questa nuova tecnologia. Forse tutto questo
è vero, ma certamente non sufficiente. In realtà la Chiesa ha bisogno di internet
perché ha una Buona Novella da comunicare; perché è in Internet che è possibile capire
e si sta costruendo il modello antropologico dell’uomo di domani. **********
Di
seguito ampi stralci dell’intervento del vescovo di Gap e Embrun, mons. Jean-Michel
di Falco Léandri, presidente della Ceem: «La cultura di Internet e la comunicazione
della Chiesa». Sentendo questo tema, mi sono ritornati in mente i tre avvenimenti
che hanno sconvolto la vita della nostra Chiesa durante lo scorso inverno. Mi riferisco
all'«affare» Williamson, alla scomunica di Recife e alla dichiarazione sul preservativo
nell'aereo che portava il Papa in Camerun - è così che i media hanno descritto quegli
avvenimenti. Tre questioni che hanno scosso il pianeta Internet. Sono state giudicate
emblematiche del modo in cui la Chiesa istituzionale comunica e in cui gli internauti
- cristiani o meno - reagiscono. Hanno rivelato i punti di forza e le debolezze della
comunicazione della Chiesa nel contesto di una cultura di Internet trionfante. In
seguito all'affare Williamson, il Santo Padre stesso ha riconosciuto che la Curia
non aveva ben valutato la posta in gioco rappresentata da Internet. O meglio, per
citare più esattamente: «Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie alle
quali si può accedere tramite Internet avrebbe permesso di venire più velocemente
a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che, in avvenire, alla Santa Sede
dovremo prestare una maggiore attenzione a questa fonte d’informazione». Di
fronte alla critica riguardante il fatto che il Papa non era stato messo al corrente
delle dichiarazioni negazioniste di Mons. Williamson disponibili nella rete, il Papa
si è riferito, nella sua lettera ai vescovi, ad Internet soltanto come fonte d’informazione,
come biblioteca virtuale. Ci sono però molti altri aspetti che motivano la scelta
del tema di riflessione della nostra assemblea. Sono gli aspetti che andremo ad affrontare
durante queste giornate, tra i quali possiamo citare l'emergere della Web generation,
gli sconvolgimenti nell'organizzazione del tempo e dello spazio, nel modo di informarsi
e di comunicare, le conseguenze ecclesiologiche, gli effetti sul governo stesso della
Chiesa, il posto della religione nel mercato di Internet, la varie maniere di proclamarvi
il Vangelo e di essere Chiesa in tale mercato. Non facciamoci illusioni. Non facciamo
lo struzzo. Internet si trasforma, trasforma la nostra società e non può non trasformare
la Chiesa, non può non trasformare il nostro modo di essere e di agire come Chiesa,
con il rischio di non essere più testimoni di Cristo nel mondo di oggi! Con Internet,
assistiamo a una rivoluzione copernicana che sta già producendo i suoi effetti sul
nostro modo di essere nella nostra relazione con il mondo, nel nostro collocarci nel
mondo, nel nostro interagire con il mondo. Qui si inserisce la presa di coscienza
della Chiesa istituzionale riguardo all'importanza di Internet. Nessuno dubbio. E
a maggior ragione oggi. Ma saper navigare cavalcando l'onda di Internet è tutta un’altra
storia. Internet è un rivelatore, un evidenziatore. O sapete comunicare, o non sapete
farlo, o siete credibili o non lo siete, o rispondete alle attese o restate nella
vostra bolla, o siete un profeta o siete l'ultimo dei Mohicani, o siete vivi o siete
dei fossili, o conoscete il linguaggio di Internet o non lo conoscete e non potete
comunicare. Paragono spesso la modalità di presenza della Chiesa nel mondo dei media
e in Internet a ciò che viene richiesto a un missionario che si accinge a partire
per terre sconosciute. Che cosa si chiede ad un missionario prima della sua partenza?
Di conoscere la cultura del paese in cui si reca e di apprenderne la lingua. Non dovremmo
forse avere lo stesso atteggiamento per ciò che riguarda la presenza nei media? Nuovi
linguaggi nascono su Internet, utilizzati dai giovani. Abbreviazioni, foto ed emoticon,
schede audio e video la fanno da padrone. La cultura digitale si dota di una propria
grammatica, di una lingua in costante e veloce evoluzione (LOL, MDR). La nostra generazione
soffre di un’eccessiva tendenza a considerare come superficiale tutto ciò che è breve,
istantaneo, basato sull'emozione. Sarà forse perché siamo piuttosto orientati verso
lo scritto, i lunghi elaborati, la qualità dell'argomentazione da quegli spessi dossier
che dobbiamo affrontare, dai libri di teologia e dalle tesi che abbiamo letto o che
ancora leggiamo? Se guardiamo più da vicino, però, la Chiesa nella sua storia non
ha considerato come vettori di verità soltanto i lunghi trattati di teologia. Ha saputo
esprimere la sua fede in modo conciso e convincente. Basti citare la proclamazione
del kerygma negli Atti degli Apostoli. Ha saputo utilizzare forme di comunicazione
non verbale. Basti pensare alle icone, agli affreschi e ai mosaici delle nostre chiese,
alle vetrate e alle sculture sui timpani delle nostre cattedrali. Ha saputo suscitare
emozioni. Basti ascoltare i suoi canti e le sue musiche. Proclamiamo «una sola fede,
un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti», ma esistono mille modi di esprimere
questa fede. L'aggiornamento chiesto da Papa Giovanni XXIII ci spinge senza tregua
a riattualizzare il modo in cui proponiamo la fede alle nuove generazioni. Viviamo
in un mondo pluralistico, dove moltissimi sono coloro che, grazie ad Internet, possono
avere accesso a tutto ed esprimere il loro parere su tutto. La Chiesa non può non
tenerne conto. Con la secolarizzazione, la globalizzazione, la crescita di Internet,
la nostra visione del mondo, della vita e della morte è considerata da alcuni come
un prodotto tra i tanti nel mercato delle religioni. La Chiesa non può comunicare
come se non esistessero altre concezioni e interpretazioni del mondo. Ha una Parola,
un messaggio d’amore da proclamare, ma deve anche ascoltare, e Internet è una formidabile
camera di risonanza della vita del mondo. Un mio amico ha fatto
una ricerca sui siti cristiani in francese più consultati. Ne è venuto fuori che i
siti cattolici in Francia vengono molto dopo i siti evangelici, benché nel nostro
paese gli evangelici siano una minoranza rispetto ai cattolici. Come si spiega? Per
lui le ragioni sono le seguenti: La prima è che «gli evangelici
ascoltano e i cattolici parlano». Con questo egli intende dire
che gli evangelici escono da se stessi per mettersi come prima cosa al posto degli
altri. Rispondono ai bisogni. «Che cosa vuoi?» domanda Gesù al paralitico, al cieco
nato. In altre parole, «Di cosa hai bisogno? Qual è il tuo desiderio più profondo?
Io posso darti una risposta». La comunicazione comincia sempre dall'ascolto. Questo
lo spinge a porsi questa domanda: la Chiesa cattolica parla forse partendo da se stessa
senza prendere sufficientemente in considerazione ciò che vive la gente? La
seconda ragione del maggiore successo dei siti evangelici rispetto ai siti cattolici
è che «i siti cattolici sono centrati su se stessi» e sono «considerati come strumenti
e non come un mondo da evangelizzare». Con questo intende dire
che i nostri siti sono delle estensioni o dei duplicati dei nostri foglietti parrocchiali,
dei nostri bollettini diocesani. Sono ad uso interno. Parlano una lingua per iniziati
ad uso esclusivo degli iniziati. I siti evangelici, al contrario, vogliono raggiungere
gli internauti, utilizzando Internet come strumento e vettore di evangelizzazione. Che
ci troviamo d’accordo o meno con questa analisi, resta il fatto che possiamo farci
carico della necessità di ascoltare il mondo per amarlo di più e parlargli. Se
i siti istituzionali, con la loro pesantezza, sono necessari, gli elettroni liberi
possono esserlo altrettanto. Qualcuno come Napoleone è certamente valutato diversamente
in un'assemblea come la nostra, ma permettetemi di parlare di lui per fare un paragone.
Napoleone sapeva usare altrettanto bene, in una battaglia, la cavalleria pesante e
i lancieri che trafiggono i fianchi dell'avversario, così come i volteggiatori che
si danno da fare a stuzzicare quegli stessi fianchi come mosche cocchiere. Un
sito Internet dovrebbe poter mettere in contatto con Gesù Cristo e con una Chiesa
viva, una comunità in cui si vivono l'unità e la carità. Lungi dal trovare tutto questo,
gli internauti si trovano molte volte a confrontarsi con un «sistema» che offre, certo,
i suoi vantaggi una volta che ne hanno superato la soglia, ma che, in un primo contatto,
fa più da schermo che da cinghia di trasmissione, non avendo dalla sua parte la leggerezza
dell'amore. Questi volteggiatori del Vangelo, li vedo nei blog
creati dai laici. Questo rientra nel campo proprio della loro attività, della loro
vocazione e della loro missione di battezzati nella Chiesa e nel mondo. La
44a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che avrà luogo il 23 maggio prossimo
avrà per tema: «Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio
della Parola». Scegliendo questo tema, il Papa colloca l'urgenza di un'evangelizzazione
con il mondo digitale e del mondo digitale nella cornice dell'Anno Sacerdotale. Si
tratterà di «incoraggiare i sacerdoti ad affrontare le sfide che nascono dalla nuova
cultura digitale», come ha sottolineato il comunicato stampa. A mio parere, tuttavia,
non si tratta di un appello a tutti i sacerdoti a creare un proprio blog. Si tratta
piuttosto di un appello ai sacerdoti a circondarsi di laici competenti per l’implementazione
dei loro siti parrocchiali o di movimenti, una chiamata a collaborare, una chiamata
ad accompagnare i laici che si stanno lanciando, o che si sono già lanciati, nell'evangelizzazione
via Internet. È una chiamata a vedere come possiamo aiutare gli internauti a distinguere
i siti cattolici da quelli che si spacciano come tali ma non sempre lo sono. I
media riducono spesso la Chiesa al Papa ed ad alcuni cardinali. Ragion di più perché
i vescovi e i sacerdoti lascino tutto il loro posto ai laici sulla rete. L'Azione
Cattolica consisteva nell’evangelizzazione del simile da parte del simile, dell'operaio
da parte l'operaio, dello studente da parte dello studente, della donna da parte della
donna, del padrone da parte del padrone, ecc. Occorre ritrovare questa intuizione
in ciò che riguarda la rete, e se non si riesce a evangelizzare la rete, almeno evangelizzare
con la rete. Soltanto la presenza nella rete di cristiani laici competenti e illuminati,
che si esprimono in quanto cristiani, potrà mostrare che non si può ridurre la Chiesa
alla sua gerarchia e al Papa. Permettetemi di articolare alcune
affermazioni in questo senso: - Nella giungla delle offerte
gratuite e delle possibilità mediatiche, i cristiani devono farsi vedere con qualcosa
di più. Questo «di più» non è un gadget, è il lievito assolutamente indispensabile
affinché la pasta prenda forma, è la lampada nella casa, è il faro nella notte del
mondo e delle nostre vite. Ma è assolutamente necessario entrare nel mercato della
rete con questo «di più». - La Chiesa non può arrivare a tutti
allo stesso tempo, con gli stessi contenuti, sugli stessi media. Non può portare avanti
un discorso monolitico. Le vite sono diverse, il mondo è segmentato, la Chiesa deve
assolutamente diversificare la propria offerta. Chi si vuole raggiungere, dove, come,
perché e per fare che cosa, per condurre verso che cosa? Tutto questo non deve forse
essere pensato prima della creazione di qualunque sito? - Prendere
bene le misure prima di ogni impostazione del modo in cui questa o quella immagine,
questa o quella dichiarazione potranno essere percepite, riportate, propagate, interpretate.
Si può mettere le cose a posto in termini di conoscenza di causa, ma non si dovrebbe
mai essere sorpresi dalle reazioni per poi precipitarsi con le smentite e le rettifiche.
Se si è sorpresi da una reazione, è perché si è analizzata male la situazione prima
di parlare, dunque non si è stati sufficientemente all'ascolto. Meglio riflettere
prima, ed essere spontanei e reattivi malgrado tutto. Quella del web è la cultura
della spontaneità. - Oltre 25 anni fa dicevo che le cattedrali
del XXI secolo sarebbero state mediatiche. Oggi queste nuove cattedrali vanno costruite
nella rete. Nella storia della Chiesa, nello stesso tempo in cui la carità diventava
inventiva per rispondere ai nuovi bisogni, le vecchie strutture rimanevano. Anche
per noi, pur assicurando la vita delle nostre parrocchie e delle nostre diocesi, dobbiamo
avere la sollecitudine di continuare ad essere presenti là dov’è la gente, dove il
mondo cambia, dunque ad andare su You Tube, My Space, Facebook, ecc. La questione
non è certo trascurabile: quale forma di legame sociale si tesse tra le persone “connesse”?
Queste reti pongono la questione dei confini dell'intimità. Mi limiterò a menzionare
le questioni che girano intorno al rapporto con la verità e l'identità, il tempo e
lo spazio, il rapporto con la cultura, come ho già detto, ma dobbiamo proprio essere
assenti? - Non sono i giovani che non si avvicinano più alla
Chiesa, è la Chiesa che è lontana dal loro mondo. Navigando in rete, entrando in un
qualsiasi sito di incontro come Facebook, ci si rende subito conto del bisogno di
comunicare, della necessità di un incontro e di un dialogo autentici. L'autenticità
per loro è segno di verità. Dobbiamo promuovere una presenza cristiana sul web fatta
dunque di operatori, sacerdoti inclusi, che certo conoscano bene le tecniche di comunicazione,
ma che sappiano offrire anche degli spazi per la ricerca, l'incontro, il dialogo,
la preghiera. Riflettere sul branding con il fine di lavorare
sulla notorietà e sull'immagine. Papa Giovanni Paolo II sapeva compiere dei gesti
simbolicamente carichi di senso. Soltanto l'ascolto del mondo, da una parte, e l'ascolto
del Dio del Vangelo dall’altra, ci possono permettere di posizionarci dove non si
aspettano di trovarci, di sorprendere, di far cadere le false idee sulla Chiesa. Queste
diverse piste non devono far pensare che si possano risolvere i problemi di comunicazione
della Chiesa con semplici misure di comunicazione, con il rischio di essere come quei
«cembali risonanti» denunciati da San Paolo, quegli strumenti che suonano vuoti. Dobbiamo
essere, come prima cosa e prima di tutto il resto, ‘abitati’. «La forma è il fondo
che risale alla superficie» diceva lo scrittore Victor Hugo. «L’agire segue l'essere»,
diceva San Tommaso d’Aquino, e prima di lui Aristotele. Agiamo secondo ciò che siamo.
Diamo a vedere ciò che siamo. Alcuni credono che Internet sia
solamente qualcosa di virtuale o di superfluo. Tutti conosciamo dei sacerdoti o dei
vescovi per i quali Internet è l'ultima delle loro preoccupazioni, che continuano
la loro pastorale come se Internet non esistesse. Ora Internet fa sempre più parte
integrante della vita quotidiana. Non esservi presenti equivale a tagliare fuori
una buona parte della vita delle persone. E quando ci si è all’interno, ciò che si
dà a vedere è inseparabile da ciò che si è. Del resto, secondo la modalità naturale,
a meno di essere completamente paranoici, si prende ciò che si percepisce per la realtà;
e, a meno di essere un perfetto manipolatore, si dà a percepire ciò che si è. Non
ci può essere una dicotomia completa tra essere e apparire nella mente delle persone,
e io sono convinto che i nostri siti e i nostri blog dicono molto di più su di noi
di quanto non immaginiamo. Questo mi porta ad affrontare la
questione della testimonianza, della testimonianza cristiana, della testimonianza
del cristiano, di colui che si è lasciato abitare dallo Spirito di Cristo. Ecco
cosa dice Nietzsche dei martiri nella sua opera L'Anticristo: «Il tono con cui un
martire getta in faccia al mondo ciò che egli "considera vero" esprime già un livello
così basso di probità intellettuale, una tale ottusa indifferenza nei confronti del
problema della verità, che non è mai necessario confutare un martire. […] Si può essere
sicuri che su questo punto la modestia, la moderazione aumenta in funzione del grado
di coscienza che si applica alle cose dello spirito. […] I martiri hanno fatto torto
alla verità… Ancora adesso, è sufficiente una persecuzione un po’ dura per conferire
una fama di rispettabilità al più banale dei settarismi». Per Nietzsche, il martirio
non è altro che l'espressione di un fanatismo. Ma se non differenzia il fanatico dal
vero martire, è proprio perché i veri martiri sono rari. Nietzsche denuncia «Il tono
con cui un martire getta in faccia al mondo ciò che egli "considera vero"». Facciamo
dunque un’analisi dei siti Internet che si dichiarano «cristiani». Quali possono non
dare adito a una simile accusa? Quanti sono dei veri testimoni di Cristo? Quanti possono
dirsi esenti da verità sbattute in faccia, esenti da autocompiacimento, dogmatismo,
politichese, scorciatoie, accecamenti, e persino da mancanza d’amore, di speranza,
della stessa fede? Il Concilio Vaticano II, quando tratta il
tema dell'ateismo, ci invita a fare il nostro esame di coscienza su questo argomento:
«Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio
cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza,
non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una
certa responsabilità» (Gaudium et spes, 19). Un sito Internet
cristiano deve occuparsi del mondo e non tagliarsi fuori dal mondo. Deve evitare il
politichese, evitare di essere esso stesso un ideologo che cerca di imporre la propria
verità. Un sito deve essere aperto al dialogo e al dibattito, pur mostrando che non
transigerà su certi principi che sono accettati da tutti e dovunque. Deve accontentarsi
di proporre la verità di Cristo, in maniera ferma, morbida, umile. E se si tratta
di rendere conto della speranza che è in noi a quelli che ce ne chiedono ragione (cf.
1 Pt 3, 15), che questo venga fatto «con dolcezza e rispetto», dice San Pietro. Il
falso testimone di Cristo cerca di esasperare, cerca la provocazione. Il vero testimone
di Cristo esaspera senza volerlo. Il sito cristiano deve dunque esasperare senza provocare.
Se arriva a essere fastidioso, deve esserlo come lo si può essere in noi stessi quando
la nostra coscienza ci provoca a tendere al bene ed ad evitare il male. Il sito cristiano
ha il dovere di risvegliare le coscienze, puntando sull'attrazione di ogni uomo per
la bontà, la verità, la bellezza. Tendiamo talvolta, nella Chiesa,
a separare la Chiesa e il mondo, il sacro e il profano. Questo significa dimenticare
che Gesù non compie una tale distinzione, o piuttosto, la distinzione è un’altra,
passa dal confine del nostro cuore. «Chi non è contro di noi è per noi», dice ai discepoli
che si stupiscono che ci siano dei miracoli fatti da altri (Mc 9, 40). Questo ci invita
ad allargare lo spazio della nostra tenda. Sant’Agostino diceva già a proposito della
Chiesa: «molti di quelli che sembrano all'esterno sono all’interno e molti che sembrano
all’interno sono all'esterno» (De bapt. V, 27), e Padre François Varillon fa ricorso
a questa formula lapidaria: «La Chiesa è il mondo nella misura in cui accoglie il
dono di Dio». Se si eccede nella distinzione tra media profani
da un lato e media intra-ecclesiali dall'altro, si corre il rischio della ghettizzazione,
della vittimizzazione, senza ascoltare ciò che il mondo ha da dire della Chiesa, ciò
che quest’ultima ne comprende, come lo recepisce, senza cercare neanche di sapere
come può essere presente in tutti i media. Fortunatamente, però,
ora più che mai, Internet ridistribuisce le carte, ci fa scendere dal nostro piedistallo,
dalla nostra cattedra magistrale, ci fa uscire dai nostri ghetti, dalle nostre sagrestie.
Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti, fedeli laici, noi tutti formiamo con Internet
un’agora, uno spazio libero e spontaneo dove si dice tutto su tutto, dove tutti possono
discutere di tutto, un’agora virtuale in cui gli internauti si fanno un'idea su questo
o quell’argomento mentre procedono nella loro peregrinazione, nella loro ricerca,
ovvero nel loro zapping. L'internauta cattolico non fa eccezione a questa regola.
Pur aderendo liberamente alla fede della Chiesa, vuole farsi un'opinione propria,
essere il solo giudice di là dove si trova il suo bene. Naviga dunque in rete in funzione
dei propri centri d’interesse, del punto a cui è arrivato nella sua ricerca, ed esercita
il suo giudizio in funzione del punto a cui è arrivato nella sua fede e nelle sue
conoscenze. Che un fedele, o che ogni uomo, si faccia la sua
opinione per conto proprio può far paura a dei pastori come noi. Ci piacerebbe proteggere
i più deboli e i più vulnerabili. Ma occorre trovare delle soluzioni diverse dalla
censura e dal divieto per tutto questo. La censura è sempre una cattiva risposta,
anche quando si fa bella delle migliori intenzioni del mondo. Appare sempre come erratica
ed arbitraria, dunque, in fin dei conti, come totalitaria. Orbene, la verità non ha
bisogno di noi per imporsi. Il Concilio Vaticano II lo ricorda: «la verità non si
impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente
e insieme con vigore» (Dignitatis humanae, 1). Un atto di fede che non fosse un atto
libero non avrebbe alcun valore. «La dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo
scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e
non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna» (Gaudium et spes,
17). Papa Benedetto XVI, nella sua ultima enciclica, ci invitava
a legare «verità» e «amore» nella nostra vita. Non può esserci verità senza amore
né amore senza verità. La verità senza amore è fredda e l'amore senza verità è cieco.
Prevenire senza censurare, avvisare senza vietare, spiegare piuttosto che imporre,
questa deve essere la nostra sollecitudine pastorale per ciò che riguarda ogni sito
o blog che si dichiara cattolico o gestito da cattolici. Saremo credibili solamente
se manifestiamo la verità nell'amore, la verità dell'amore, l'amore nella verità. Prima
di concludere vorrei sottolineare un punto di attenzione tutto particolare, quello
dei più poveri; cito: «Una delle (preoccupazioni) più importanti (…) si riferisce
a ciò che si chiama oggi il divario digitale», una forma di discriminazione che divide
i ricchi dai poveri sulla base dell'accesso, o della mancanza d’accesso, alle nuove
tecnologie dell’informazione. Gli individui, i gruppi e le nazioni
devono avere accesso alle nuove tecnologie per prendere parte ai vantaggi promessi
dallo sviluppo e per non restare ancora più indietro. È imperativo, e cito adesso
Papa Giovanni Paolo II, «è imperativo che il baratro che allontana i beneficiari dai
nuovi mezzi d’informazione e di espressione da coloro che non vi hanno ancora accesso
non diventi una causa insormontabile di ingiustizia e di discriminazione».