2009-11-13 15:10:54

Human Rights Watch presenta un rapporto sulle prigioni segrete in Cina


In un rapporto presentato ieri ad Hong Kong, chiamato “Un vicolo nell’inferno”, Human Rights Watch ha reso noto le testimonianze di decine di ex-detenuti nelle prigioni segrete cinesi. Nelle black jails – così si chiamano le prigioni segrete - sono detenuti soprattutto i “petitioners”, i postulanti, chi cioè dalle province arriva a Pechino e denuncia abusi e ingiustizie subite dalle autorità locali. Si può restare in carcere anche mesi, senza che le famiglie sappiano nulla, senza che vi sia stata incriminazione o processo. Le prigioni, la cui esistenza negli ultimi mesi è stata negata più volte dal governo, sono occultate in ostelli di proprietà dello Stato, in ospedali o in centri psichiatrici. I carcerieri, probabilmente poliziotti di provincia, agiscono nell’assoluta illegalità, maltrattano o torturano i detenuti, li derubano, violentano le donne, si rifiutano di somministrare loro farmaci e cibo, ma agiscono sostenuti dallo stato, continua HRW, che paga loro un contributo per il mantenimento dei detenuti. Dalle interviste condotte dall’organizzazione per i diritti umani, su 38 persone che sostengono di essere state detenute nelle black jails vi sarebbero anche minori. Secondo Sophie Richardson, responsabile per l’Asia della Ong, è impossibile dire con certezza quante prigioni nere esistano in Cina, ma ce ne potrebbero essere una cinquantina nella sola area della capitale. (A cura di Francesca Sabatinelli)RealAudioMP3







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