2009-11-13 14:51:24

Al via il Torino Film Festival: intervista con Gianni Amelio


Si inaugura oggi la 27.ma edizione del Torino Film Festival che si avvale della nuova direzione artistica del regista italiano Gianni Amelio. Otto giorni di cinema con 254 titoli provenienti da tutto il mondo per una rassegna che si rivolge soprattutto ai giovani e ai cinefili affiancando ai grandi nomi alcune curiose scoperte e novità. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Non è facile ereditare un Festival diretto per due anni da Nanni Moretti. Non è facile dargli un senso nel panorama affollatissimo di tante manifestazioni simili dedicate alla settima arte, tutte in difesa della propria identità e nel tentativo di richiamare l’attenzione del pubblico e dei media. Ma Torino vive la sua manifestazione con grande entusiasmo, rivolgendosi principalmente alla ricerca e alla scoperta di talenti innovativi, che esprimono le migliori tendenze contemporanee del cinema indipendente internazionale. Per Gianni Amelio, che ha sempre lavorato dietro una macchina da presa, è compito non facile. E’ anche una sfida. Quale tipo di manifestazione ha avuto in mente così da potersi distinguere e farsi apprezzare a livello internazionale?

 
R. – Bastava guardare alla tradizione del Festival di Torino e alla riconoscibilità della sua linea. Non c’è in Italia un Festival che somigli al Festival di Torino. Intanto perché è dedicato alle opere prime e seconde e, quindi, si tratta di un concorso per giovani registi, per chi comincia questo mestiere. Tengo a sottolineare che i premi del Festival di Torino non sono coppe che poi uno poggia su un tavolo e su una libreria, ma sono danaro o meglio rappresentano la possibilità di poter continuare a fare, magari con qualche mezzo in più, il lavoro che si ama fare. Non è un’esperienza lontana dal mio modo di intendere il cinema e dal mio modo di intendere soprattutto il modo di entrare in questo mestiere. Io ho fatto fatica ad entrare e, quindi, so benissimo la fatica che i giovani incontrano per iniziare un percorso così complicato.

 
D. - Nelle proposte tematiche con le quali molte delle pellicole sono suddivise, una particolare è dedicata alla famiglia. Considerando quanto di attenzione nei suoi film ha sempre voluto rivolgere ai rapporti umani e familiari, quale immagine della famiglia ritrova nei titoli di questo gruppo ideale che ha visionato e selezionato per il Festival?

 
R. – Nei film che abbiamo in concorso almeno in quattro film su sedici è presente il tema della famiglia come tema centrale e c’è il rapporto madri-figlie e madri-figli. Sarà anche un caso, ma tre dei film di cui parlo sono diretti da donne. Evidentemente, quindi, le registe stanno cercando di recuperare anche un proprio passato, stanno cercando anche di riflettere su se stesse e in rapporto alla figura materna, ma anche in rapporto a quando loro saranno madri. Questo è il filo rosso che percorre tutto il Festival.

 
D. - Lei ha voluto istituire quest’anno il Gran Premio Torino che viene assegnato a quei registi che hanno in qualche modo rinnovato il linguaggio cinematografico e diffuso nuove tendenze, considerandolo per questo non un riconoscimento alla carriera ma un attestato di eccellenza. Sono stati scelti per questa prima edizione del Premio il regista serbo Emir Kusturica e l’American Zoetrope di Francis Ford Coppola. Ci vuole indicare il motivo?

 
R. – Per quanto riguarda Kusturica, è l’amore che io ho provato per il suo umanesimo, vale a dire per l’attenzione che lui ha e che continua ad avere per le parti più deboli della società; la forza della vita che nonostante tutte le avversità deve spingere le persone, le più lontane dal posto al sole, a raggiungere comunque una propria dignità. Per quanto riguarda Coppola, questa volta lo abbiamo voluto premiare soprattutto come produttore e come presidente dell’American Zoetrope che è una delle case di produzioni più innovative ed audaci anche del cinema americano e soprattutto proprio per il contributo sulla ricerca tecnica che la Zoetrope ha fatto per quanto riguarda i mezzi cinematografici ed anche il modo di metterli in pratica. Penso che poi la tecnica diventi linguaggio e quindi non è separabile dal fatto espressivo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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