Al via il Torino Film Festival: intervista con Gianni Amelio
Si inaugura oggi la 27.ma edizione del Torino Film Festival che si avvale della nuova
direzione artistica del regista italiano Gianni Amelio. Otto giorni di cinema con
254 titoli provenienti da tutto il mondo per una rassegna che si rivolge soprattutto
ai giovani e ai cinefili affiancando ai grandi nomi alcune curiose scoperte e novità.
Il servizio di Luca Pellegrini:
Non è facile
ereditare un Festival diretto per due anni da Nanni Moretti. Non è facile dargli un
senso nel panorama affollatissimo di tante manifestazioni simili dedicate alla settima
arte, tutte in difesa della propria identità e nel tentativo di richiamare l’attenzione
del pubblico e dei media. Ma Torino vive la sua manifestazione con grande entusiasmo,
rivolgendosi principalmente alla ricerca e alla scoperta di talenti innovativi, che
esprimono le migliori tendenze contemporanee del cinema indipendente internazionale.
Per Gianni Amelio, che ha sempre lavorato dietro una macchina
da presa, è compito non facile. E’ anche una sfida. Quale tipo di manifestazione ha
avuto in mente così da potersi distinguere e farsi apprezzare a livello internazionale?
R.
– Bastava guardare alla tradizione del Festival di Torino e alla riconoscibilità della
sua linea. Non c’è in Italia un Festival che somigli al Festival di Torino. Intanto
perché è dedicato alle opere prime e seconde e, quindi, si tratta di un concorso per
giovani registi, per chi comincia questo mestiere. Tengo a sottolineare che i premi
del Festival di Torino non sono coppe che poi uno poggia su un tavolo e su una libreria,
ma sono danaro o meglio rappresentano la possibilità di poter continuare a fare, magari
con qualche mezzo in più, il lavoro che si ama fare. Non è un’esperienza lontana dal
mio modo di intendere il cinema e dal mio modo di intendere soprattutto il modo di
entrare in questo mestiere. Io ho fatto fatica ad entrare e, quindi, so benissimo
la fatica che i giovani incontrano per iniziare un percorso così complicato.
D.
- Nelle proposte tematiche con le quali molte delle pellicole sono suddivise, una
particolare è dedicata alla famiglia. Considerando quanto di attenzione nei suoi film
ha sempre voluto rivolgere ai rapporti umani e familiari, quale immagine della famiglia
ritrova nei titoli di questo gruppo ideale che ha visionato e selezionato per il Festival?
R.
– Nei film che abbiamo in concorso almeno in quattro film su sedici è presente il
tema della famiglia come tema centrale e c’è il rapporto madri-figlie e madri-figli.
Sarà anche un caso, ma tre dei film di cui parlo sono diretti da donne. Evidentemente,
quindi, le registe stanno cercando di recuperare anche un proprio passato, stanno
cercando anche di riflettere su se stesse e in rapporto alla figura materna, ma anche
in rapporto a quando loro saranno madri. Questo è il filo rosso che percorre tutto
il Festival.
D. - Lei ha voluto istituire quest’anno
il Gran Premio Torino che viene assegnato a quei registi che hanno in qualche modo
rinnovato il linguaggio cinematografico e diffuso nuove tendenze, considerandolo per
questo non un riconoscimento alla carriera ma un attestato di eccellenza. Sono stati
scelti per questa prima edizione del Premio il regista serbo Emir Kusturica e l’American
Zoetrope di Francis Ford Coppola. Ci vuole indicare il motivo?
R.
– Per quanto riguarda Kusturica, è l’amore che io ho provato per il suo umanesimo,
vale a dire per l’attenzione che lui ha e che continua ad avere per le parti più deboli
della società; la forza della vita che nonostante tutte le avversità deve spingere
le persone, le più lontane dal posto al sole, a raggiungere comunque una propria dignità.
Per quanto riguarda Coppola, questa volta lo abbiamo voluto premiare soprattutto come
produttore e come presidente dell’American Zoetrope che è una delle case di produzioni
più innovative ed audaci anche del cinema americano e soprattutto proprio per il contributo
sulla ricerca tecnica che la Zoetrope ha fatto per quanto riguarda i mezzi cinematografici
ed anche il modo di metterli in pratica. Penso che poi la tecnica diventi linguaggio
e quindi non è separabile dal fatto espressivo. (Montaggio a cura di Maria
Brigini)