Liberato ieri padre Sinnott, rapito un mese fa nelle Filippine
E’ libero padre Michael Sinnott, il sacerdote irlandese di 79 anni rapito da un gruppo
armato un mese fa a Pagadian, sull’isola meridionale filippina di Mindanao, e rilasciato
ieri sera. Secondo le prime informazioni, diffuse da AsiaNews, non sarebbe
stato pagato il riscatto di 2 milioni di dollari chiesto dai sequestratori. Per il
rilascio di padre Sinnott, avrebbero collaborato anche i ribelli del Fronte islamico
di Liberazione Moro, facendo pressioni su un combattente locale. Grande gioia per
la liberazione è stata espressa da mons. Angel Lagdameo, presidente della Conferenza
episcopale filippina e da padre Patrick O'Donoghue, superiore regionale dei Missionari
di San Colombano, di cui padre Sinnott fa parte. Per un quadro delle azioni dei ribelli
nelle Filippine, dopo la sospensione l’anno scorso dei colloqui di pace tra governo
di Manila e Fronte islamico di Liberazione Moro, Giada Aquilino ha intervistato
Paolo Affatato, dell’Osservatorio italiano Asia Maior:00:02:08:59
R.
– I sequestri sono un crimine odioso contro l’umanità, ma nel Sud delle Filippine
continuano, senza che il governo riesca a fermarli. Si calcola, infatti, che dal 1996
ad oggi siano stati oltre cinquecento. Sono legati alla situazione di instabilità
delle Filippine meridionali. Sappiamo che è in corso un conflitto trentennale in cui
i tradizionali movimenti guerriglieri, come il Fronte islamico di Liberazione Moro,
si incrociano con altre bande e altri movimenti di carattere più terroristico, come
Abu Sayyaf o altre piccole bande criminali locali. Questo è lo scenario in cui avvengono
tali sequestri, di cui spesso i sacerdoti o i membri delle Ong sono vittime. Quindi,
per poter risolvere questi casi, le radici dei movimenti locali sono molto importanti.
Il Fronte Moro sicuramente ha potuto svolgere un’opera di mediazione, che si è rivelata
decisiva e che ha voluto dare anche un segnale al governo, perché il Fronte si pone
come un interlocutore importante nel processo di pace.
D.
– Il Fronte islamico di Liberazione Moro avrebbe collaborato quindi nel rilascio di
padre Sinnot. Sono attivi poi altri gruppi, come appunto Abu Sayyaf, dediti ai sequestri:
ricordiamo il rapimento di padre Giancarlo Bossi. Ma perché rapire esponenti religiosi?
R.
– Per la loro visibilità e per la loro duplice appartenenza: ad un Paese occidentale
ed alla Chiesa cattolica. Abbiamo detto però che anche volontari, operatori delle
Ong, imprenditori locali sono spesso nel mirino. Il fine è quello di ottenere un riscatto:
sono sequestri a scopo di estorsione.
D. – Dove finiscono
questi soldi?
R. – Ci sono bande piccole e bande
più grandi. Il problema è che il governo non riesce a debellare il fenomeno. Alcuni
osservatori locali pensano che questi crimini siano effettivamente manovrati da gruppi
che hanno una loro precisa agenda politica ed economica. Quindi, in questi tempi di
crisi, quello dei sequestri è un business molto lucroso.