Amare la Chiesa come nostra vera madre, anche quando vediamo qualche ombra sul suo
volto: così il Papa a Brescia, sulle orme di Paolo VI. Intervista con mons. Monari
Paolo VI maestro di vita, coraggioso testimone di speranza in profonda unione con
la Chiesa. Sono i volti del Papa bresciano che Benedetto XVI ha voluto ricordare nel
pomeriggio trascorso ieri a Concesio, ultima tappa della sua visita pastorale nella
diocesi di Brescia. Prima la sosta alla casa natale di Montini e l’incontro con alcuni
familiari, poi l’inaugurazione del centro studi intitolato al Papa bresciano e il
conferimento del Premio Paolo VI per l’impegno nella diffusione della cultura di ispirazione
religiosa. Infine l’emozionante abbraccio della comunità locale riunita nella chiesa
di Sant’Antonino dove è custodito il fonte battesimale di Giovanni Battista Montini.
Il servizio della nostra inviata Gabriella Ceraso.
E’ un Papa
sorridente, circondato dall’affetto della gente, quello che arriva nei luoghi della
nascita e dell’inizio della ricca vicenda umana e spirituale del venerato predecessore.
Benedetto XVI si emoziona incontrando la famiglia in quella che fu la casa delle vacanze
di Giovanni Battista Montini, fino all’ordinazione sacerdotale. Poi a piedi, nonostante
la pioggia, raggiunge la nuova sede dell’Istituto Paolo VI, che ne accoglie le memorie
in un archivio, una biblioteca e nella collezione d’arte e spiritualità. Una visita
tra cultura e fede ricca di incontri che culminano nell’Auditorium col saluto del
presidente Giuseppe Camadini e l’assegnazione del Premio Paolo VI quest’ anno conferito
alla collana patristica francese Sources Chrétiennes per la funzione educativa svolta
nella riscoperta delle fonti cristiane antiche e medioevali. Da qui lo spunto per
il Papa per una riflessione sull’odierna emergenza educativa:
“Si
vanno diffondendoun’atmosfera, una mentalità e una forma di
cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità
e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte con forza
una diffusa sete di certezze e di valori. Occorre allora trasmettere alle future generazioni
qualcosa di valido, delle regole solide di comportamento, indicare alti obiettivi
verso i quali orientare con decisione la propria esistenza”.
Citando
Montini, il Papa ricorda quanto tenesse ad essere testimone della verità, in un'epoca
in cui nel campo profano, gli intellettuali ignoravano Cristo, e quanto il mondo culturale
sociale e artistico richiedesse cristiani qualificati, radicati nella verità di Cristo,
secondo il modello appreso innanzi tutto dal papà Giorgio e poi messo in pratica: “Generazioni
di giovani universitari hanno trovato in lui, come Assistente della Fuci, un punto
di riferimento, un formatore di coscienze, capace di entusiasmare, di richiamare al
compito di essere testimoni in ogni momento della vita, facendo trasparire la bellezza
dell’esperienza cristiana”.
Come guida di anime
Montini insisteva, spiega il Papa, sulla piena armonia tra dimensione culturale e
religiosa, dottrina e pratica, sull’importanza di avere una coscienza cristiana matura
per confrontarsi con la modernità e un pensiero forte capace di un agire forte. Anche
nei difficili anni Sessanta Montini, prosegue il Papa, indicò con coraggio ai giovani,
vittime dell’ideologia, la strada dell’incontro di Cristo come esperienza educativa
liberante e risposta alle loro aspirazioni: “Aveva
imparato a comprenderne l’animo e ricordava che l’indifferenza agnostica del pensiero
attuale, il pessimismo critico, l’ideologia materialista del progresso sociale non
bastano allo spirito, aperto a ben altri orizzonti di verità e di vita. Oggi, come
allora, emerge nelle nuove generazioni un’ineludibile domanda di significato, una
ricerca di rapporti umani autentici”. Questo
maestro di vita e coraggioso testimone di speranza non sempre capito fu più di qualche
volta avversato, ricorda il Papa, ma non ebbe tentennamenti nel condurre la Chiesa.
L’auspicio ora, conclude, è che il suo amore per i giovani e l’affidamento a Cristo
vengano percepiti dalle giovani generazioni.
Il Montini figlio fedele
della Chiesa, è quello ricordato invece da Benedetto XVI nel suo ultimo appuntamento
di ieri, tra gli oltre 400 fedeli che lo attendevano nella parrocchia di Sant’Antonino
dov’è il fonte battesimale di Montini. Il primo sacramento, ha detto loro citando
Paolo VI, inizia al rapporto di comunione con Cristo, un dono immenso che richiede
di ricambiare con scelte di vita coerenti al Vangelo e non conformi alla mentalità
del mondo. Poi il congedo con un incoraggiamento...
"Vivere il Battesimo
comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche
ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna
in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e
serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all’interno delle
nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell’individualismo e del pregiudizio
e superando ogni rivalità e divisione".
Al
termine della giornata di ieri, intensa per incontri e significati, che ha visto una
grande partecipazione della comunità bresciana, la nostra inviata Gabriella Ceraso
ha chiesto al vescovo mons. Luciano Monari un commento e un breve bilancio
delle ore trascorse col Pontefice.
R. - Alcune
delle cose che mi hanno sorpreso di più e mi hanno dato una gioia più grande sono
state vedere il sorriso delle persone semplicemente nel vedere il Papa e nel salutarlo
e gridargli un augurio e cose del genere. Sono piccole cose ma servono a far capire
il bisogno di avere delle persone che al Signore vogliono bene e che rendono testimonianza
di uno stile di vita improntato soprattutto sulla ricerca dell’amore fraterno, della
comunione, della testimonianza alla verità, alle cose belle e positive.
D.
– Mons. Monari, che cosa altro l’ha colpita?
R. -
Naturalmente il messaggio che Benedetto XVI ha portato e soprattutto il messaggio
su Paolo VI in due dimensioni: l’amore tenero di Paolo VI per la Chiesa, quell’amore
che lo ha portato, ad esempio, a fare una vera e propria confessione di amore nel
suo pensiero alla morte, quando dice che ha sempre amato la Chiesa, che è vissuto
per la Chiesa e che, quando vede il compimento della sua vita, vorrebbe dirlo, confessarlo
alla Chiesa, come si confessa un sentimento intimo, con un pudore grande ma con una
gioia ed una passione pulite. Questo credo sia il primo aspetto; credo che il Papa
ci ha richiamato a quest’amore come atteggiamento fondamentale della vita del credente.
L’altro aspetto è quello della figura di Paolo VI come educatore e con la passione
del trasmettere alle nuove generazioni quella ricchezza di vita, di speranza che lui
aveva da quel Vangelo in cui ha creduto.
D. – Il
Papa ha toccato tanti aspetti tipici del bresciano: l’attivismo laicale come anche
temi economici, molti importanti in tempi di crisi. Pensa che abbia ben colto proprio
anche lo spirito della vostra comunità, della vostra Chiesa così ben articolata?
R.
– Credo di sì. Il discorso che ha fatto sui laici e sulle responsabilità che i laici
si sono sempre assunti nel cammino della Chiesa bresciana e nella testimonianza in
mezzo al mondo, alle dimensioni dell’economia, della politica, della cultura, dell’insegnamento,
ecco, tutte queste responsabilità sono caratteristiche di Brescia e il Papa le ha
ricordate e colte molto bene, come anche il discorso sulla crisi economica, legandolo
al messaggio dell’ultima enciclica, la “Caritas in veritate”. La sottolineatura del
fatto che l’elemento originario che rende la vita dell’uomo un itinerario di sviluppo
è quell’amore per la verità che l’uomo si porta dentro al cuore e che lo porta ad
una ricerca sempre incessante della verità e ad un cammino di coerenza tra la verità
che riconosce e il suo stile di vita. E’ questo che produce quel processo continuo
di maturazione che porta l’uomo verso un’umanizzazione più grande, se evidentemente
l’uomo è capace di lasciarsi portare da questo movimento dello Spirito. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)