La Chiesa indiana biasima le parole del leader del Bharatiya Janata Party
Sostenere che “le conversioni corrompono la cultura indiana danneggia in modo evidente
l’edificazione dell’armonia religiosa che ha caratterizzato la nostra civiltà per
anni”. E’ quanto sottolinea all’agenzia AsiaNews padre Babu Joseph, portavoce della
Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (Cbci), commentando le dichiarazioni di
Rajnath Singh, leader del partito conservatore indù Bharatiya Janata Party (Bjp).
Singh nei giorni scorsi ha affermato che “i missionari stranieri” usano la religione
“per infiltrarsi in India e corromperne la cultura”. Il leader del partito indù ha
anche aggiunto che le “conversioni illegali di massa” costituiscono una “minaccia
per la sicurezza interna del Paese”. Per la Chiesa indiana si tratta di accuse infondate:
invece di evocare fantasmi e minare “l’unicità del mosaico religioso e culturale”
del Paese – spiega padre Babu Joseph - i politici indiani “dovrebbero concentrare
le loro attenzioni sulle sfide alle quali è chiamato lo Stato sia sul fronte interno
che su quello estero”. Le dichiarazioni di Singh giungono in un momento di forte crisi
del Bharatiya Janata Party, dopo le sconfitte nelle recenti elezioni statali in Maharashtra,
Haryana e Arunachal Pardesh. Il tema delle conversioni forzate emerge in modo ciclico
nel dibattito politico locale e nazionale. Lo stesso Singh ha ripetutamente chiesto
al governo l’estensione in tutto il Paese della legge anti-conversione vigente in
cinque Stati. Tale legge non è invece inserita nella Costituzione che riconosce la
libertà religiosa. Nell’estate del 2008 diverse aree dell’India, tra cui lo Stato
dell’Orissa, sono state sconvolte dal dramma delle violenze compiute da estremisti
indù contro la comunità cristiana. (A.L.)