Giornata internazionale contro lo sfruttamento dell'ambiente nei conflitti armati
Le guerre producono conseguenze disastrose sull’ambiente mettendo spesso a repentaglio
il futuro delle popolazioni civili. A questo tema - che riguarda contesti come la
Repubblica Democratica del Congo, il Medio Oriente, la Colombia - è dedicata l’odierna
“Giornata internazionale contro lo sfruttamento dell’ambiente in guerra e nei conflitti
armati”. Nel suo messaggio, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon,
chiede ai singoli Stati maggiore impegno per la corretta applicazione delle normative
internazionali poste a tutela delle risorse naturali. Ma quali sono le regole in questione?
Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Francesco Rigamonti operatore dell’Ong
Ucodep, attiva, fra l’altro, nei Territori Palestinesi:
R. – C’è
una lunga storia di elaborazione di diritto internazionale su queste tematiche a partire
dal periodo della guerra del Vietnam e poi, successivamente, attraverso tutte le altre
guerre. Abbiamo ancora in mente le immagini del conflitto in Iraq, quando venne dato
fuoco al petrolio, però questo riguarda anche altri conflitti: in Africa, ad esempio,
le conseguenze ambientali sono state spesso sottovalutate. La tematica dell’ambiente
è, quindi, una tematica centrale nelle aree di conflitto a livello mondiale.
D.
– Peraltro, le conseguenze si hanno nel lungo periodo e a danno della popolazione
civile…
R. – Sì, assolutamente. La contaminazione
dell’acqua e dei terreni sono armi che colpiscono a distanza di anni. Hanno addirittura
una durata più lunga delle mine, che erano state definite come delle "armi perfette"
perché colpivano ad anni e anni di distanza. Quando si contamina l’acqua ed il terreno
si contamina il futuro, la possibilità di vita e di produzione di intere aree, spesso
anche al di là dell’area circoscritta del conflitto.
D.
– Cosa fare per un rispetto maggiore di queste regole internazionali?
R.
– C’è un versante di regolamentazione, ma c’è anche un versante di “law enforcement”,
cioè come sanzionare queste violazioni. Credo che ci sia bisogno di un'assunzione
di responsabilità soprattutto da parte degli Stati più rilevanti e più importanti,
che devono appunto non solo chiedere agli altri che queste leggi vengano rispettate
ma in primo luogo rispettarle loro quando sono coinvolti in contesti e in teatri di
conflitti.
D. – Lo sfruttamento delle risorse ambientali
resta però la chiave di tanti conflitti…
R. – Sì,
assolutamente, nel senso che le risorse naturali spesso sono sia a monte che a valle
di un conflitto. A monte, nella misura in cui in molti casi sono delle variabili che
portano ai conflitti, e a valle per il discorso sulle conseguenze che certe condotte
di guerra possono avere sull’ambiente non solo delle aree circoscritte della guerra
ma anche sulle aree circostanti.
D. - E tutto questo
è particolarmente evidente, ad esempio, a Gaza…
R.
– Sì, la situazione a Gaza è particolare perché ci sono tutta una serie di problematiche:
si va dal problema della disponibilità di acqua al fatto più recente che dal 2007
i confini di Gaza sono chiusi, quindi ben prima del conflitto e questo ha portato
dei grossi problemi alla normale manutenzione delle strutture per l’acqua e il trattamento
delle acque nere a Gaza. Si stima che solo tra il cinque e dieci per cento dell’acqua
che proviene dall’acquifero rispetti gli standard internazionali. Questo ha delle
conseguenze sulla produzione, in primo luogo sulla salute delle persone che bevono
quest’acqua. L’acqua viene anche utilizzata per le coltivazioni agricole – ricordiamo
che Gaza ha una grande presenza di serre – che sono un settore importante, o meglio
lo era, dell’economia locale. Ci sono sicuramente delle conseguenze, che poi in molti
casi è difficile stimare, perché non sono immediate ma si spostano nel corso degli
anni.