2009-11-06 14:37:37

Allarme cocaina in Europa: riscoprire il senso della vita e delle relazioni umane


All’indomani della pubblicazione del rapporto sulle droghe in Europa, la società civile si interroga su alcuni dati particolarmente allarmanti. E’ il caso dell’uso della cocaina, sempre più diffusa tra le fasce giovanili. Su questo aspetto del fenomeno tossicodipendenza si sofferma Michele Gagliardo, responsabile del Piano Giovani del “Gruppo Abele”, intervistato da Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

 
R. – Non vorremmo mai vedere dati di questo tipo, anche perché sono molti anni che si denuncia questo crescente utilizzo della cocaina. Mi verrebbe quasi da dire “normalizzazione dell’utilizzo della cocaina”. Sono davvero tanti anni! E ogni volta che si esce con una ricerca, c’è il rischio di accorgersi di qualcosa che invece accade quotidianamente nelle nostre città. Ci dev’essere un grande impegno da questo punto di vista per non occuparci soltanto quando emergono dati che ci allarmano, ma di costruire un lavoro continuativo, radicato nel quotidiano, giorno dopo giorno, nella vicinanza tra le persone.

 
D. – Può dirci, anche in base alla vostra esperienza, chi è il giovane – ma non solo il giovane – che fruisce di droghe, cocaina in primis?

 
R. – L’identikit è difficile da fare, perché c’è davvero un consumo trasversale: per età, che si abbassa come età di inizio, ed arriva fino ad età molto avanzate; ma è un consumo trasversale anche rispetto all’estrazione sociale, all’estrazione culturale. Noi troviamo lo studente, il professionista, l’operaio, l’uomo della strada … In questo senso, l’identikit non è semplice, perché questo tipo di consumo è entrato davvero un po’ nella normalità della nostra vita.

 
D. – Nella prima risposta ha usato il termine “normalizzazione”: è questo il rischio? Cioè che si vada sempre più pensando che sia quasi “normale” l’uso di droghe?

 
R. – Il pericolo che stiamo correndo è che l’uso di sostanze stupefacenti rischiano di essere dei mediatori che le persone usano per raggiungere alcuni bisogni fondamentali, come il bisogno di identità, il bisogno di appartenenza ad un gruppo, di vedersi riconosciute le proprie capacità … In un contesto storico e sociale che fa molta fatica ad aiutare a cogliere questi segnali di valore delle persone, di percorso di crescita, di emancipazione delle persone, il rischio è che ci si aggrappi a questi strumenti artificiali nella disperata ricerca di una restituzione positiva di sé!

 
D. – Alla base del problema, del fenomeno c’è dunque la mancanza di senso della vita, di relazioni personali, in definitiva, di amore?

 
R. – Sì: vuol dire recuperare il senso del valore dello stare insieme, dell’aiutarsi, dell’accompagnarsi, di essere parte di una comunità, ecco: questo forse è il termine più forte. Recuperare la dimensione della fraternità, del costruire insieme qualche cosa che abbia valore per tutti … Io, per l’esperienza che abbiamo fatto in questi anni, vedo che queste cose sono possibili, che molte persone con cui noi lavoriamo riprendono in mano la loro vita in modo diverso, e sono d’insegnamento alle vite degli altri …







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