Pubblicato il Documento finale del primo incontro europeo integrato di pastorale della
strada
“Quando torna nella strada, da cui è nato, il Vangelo esprime tutta la sua forza in
molti modi”. E’ con questo spirito improntato alla fiducia e al coraggio che prende
corpo il Documento finale del Primo Incontro continentale europeo integrato di pastorale
della strada che si è tenuto in Vaticano dal 29 settembre al 2 ottobre scorsi. Quattro
gli ambiti sui cui i partecipanti, rappresentanti di Conferenze episcopali di 15 Paesi,
esperti, delegati di associazioni e movimenti, di Congregazioni religiose maschili
e femminili, si sono confrontati per tracciare linee concrete di azione: gli utenti
della strada e della ferrovia, le donne di strada, i ragazzi di strada e le persone
senza fissa dimora. Il servizio di Adriana Masotti.
Dal
Documento emergono alcune parole fondamentali e ricorrenti quali il riconoscimento
della dignità e del valore di ogni persona, la pazienza nell’opera di accompagnamento,
la necessità di fare rete e di creare sinergie con quanti già si occupano della strada.
E ancora, la necessità di una formazione specifica degli operatori pastorali, ma anche
fantasia e creatività per inventare nuove forme di sostegno e di carità che permettano
la “liberazione” delle persone in difficoltà e il loro reinserimento nella società
e nella comunità ecclesiale, senza dimenticare che anche attraverso di esse noi stessi
possiamo ricevere il Vangelo. Inventiva è richiesta nei confronti degli utenti della
strada e della ferrovia: la Chiesa, si legge, deve trovare opportunità e luoghi nuovi
per incontrare gli autisti e nel caso di lavoratori su strada, anche i loro familiari.
Occorre inoltre sviluppare una pastorale specifica in favore degli autori e delle
vittime degli incidenti che comprenda anche l’educazione alla guida e la promozione
della riconciliazione dopo un lutto o un incidente grave. Nei confronti delle donne
di strada costrette o ridotte alla prostituzione, il Documento raccomanda l’accoglienza
senza pregiudizi nella Chiesa locale fino alla creazione di occasioni d’ incontro
tra i fedeli della parrocchia e queste donne. Strutture a carattere familiare di accoglienza
sembrano essere una soluzione efficace per fornire loro nuove prospettive di vita.
La Chiesa riconosce l’enorme contributo alla pastorale delle donne di strada già messo
in atto da tante Organizzazioni cattoliche e dalle Congregazioni religiose femminili.
Il Documento osserva poi che il problema della prostituzione non deve essere separato
dalla questione della povertà. Infine si raccomanda l’impegno per l’educazione dei
giovani al rispetto tra uomo e donna. Anche nei riguardi dei ragazzi di strada la
Chiesa deve esercitare una grande opera di difesa e per questo deve chiedere ai governi
che siano migliorate le politiche dei vari Paesi, denunciando le ingiustizie esistenti.
Il primo passo è raggiungere questi ragazzi “là dove essi sono”, passando da una pastorale
dell’attesa alla pastorale dell’incontro. L’obiettivo è la loro reintegrazione nelle
famiglie d’origine o, se necessario, in strutture familiari alternative. Nell’ambito
della prevenzione si raccomanda che la Chiesa promuova attività per i giovani come
lo sport e la musica. Una formazione tecnica, psicologica e spirituale è necessaria
anche per gli operatori pastorali che vogliono affrontare il grave problema dei senza
fissa dimora. Nell’elaborazione delle politiche governative la Chiesa deve continuare
ad essere la “voce” di coloro che non hanno voce. Nel Documento si ricorda che le
persone senza domicilio fisso fanno parte delle parrocchie in cui sono momentaneamente
presenti ed hanno diritto perciò a partecipare alla vita della parrocchia stessa.
Il linguaggio della Chiesa e quello dello Stato non sono gli stessi, osserva il Documento,
mentre la prima promuove “l’amore per il prossimo” , il secondo usa la lingua della
sicurezza e, a volte, della protezione sociale. Le persone senza fissa dimora non
devono essere viste solo come un problema, ma come uno dei modi con cui Cristo manifesta
la sua presenza in mezzo a noi. In conclusione il Documento sostiene che per coloro
che vivono e soffrono sulle strade un itinerario di fede è possibile e auspicabile.
L’importante è vincere le nostre paure, spesso primo ostacolo all’evangelizzazione.