Sentenza della Corte europea di Strasburgo che vieta i Crocefissi nelle scuole. Mons.
Paglia: irresponsabile e miope cancellare un segno universale d'amore
Una sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo ha definito oggi
la presenza dei Crocefissi nelle aule scolastiche una violazione del diritto dei genitori
di “educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di
religione degli alunni”. La Corte si è pronunciata dopo il ricorso, presentato da
una donna italo-finlandese, che aveva chiesto la rimozione del Crocefisso dalle aule
di un istituto italiano di Abano Terme, in provincia di Padova, frequentato dai suoi
due figli. Da Roma, il governo - che dovrà pagare alla donna un risarcimento di cinquemila
euro per danni morali - ha già espresso l’intenzione di fare ricorso contro la sentenza.
Per un commento, Gabriella Ceraso ha intervistato mons. Vincenzo Paglia,
vescovo di Terni-Narni-Amelia e presidente della Commissione episcopale Ecumenismo
e dialogo della Cei:
R.
- A me pare che si parta da un presupposto che, a mio avviso, è di una debolezza umanistica
oltre che religiosa del tutto evidente. Anche perché la laicità non è l’assenza di
simboli religiosi, semmai la capacità di accoglierli e di sostenerli. Di fronte al
vuoto etico, morale, che spesso noi vediamo anche nei nostri ragazzi, pensare di venire
in loro aiuto, come dire, facendo tabula rasa di tutto mi pare davvero miope,
anche perché presuppone una concezione di una cultura che è libera solo nella misura
in cui non ha nulla, o che ha solo ciò che resta sradicato da ogni storia, da ogni
tradizione, da ogni patrimonio. Tanto più che le nostre piazze, le nostre strade sono
stracolme di Crocefissi. Io non credo ci sia nessuno che pretenda di distruggere i
simboli religiosi nelle piazze, nelle strade, nei crocicchi perché ledono la libertà
di religione di qualcuno. Preferisco allora quella civiltà mediterranea che vedeva
nelle città, e ancora oggi l’abbiamo, la presenza di simboli, di segni di altre religioni.
Quando Paolo VI ebbe qualche difficoltà quando si trattò di costruire una moschea
a Roma, disse: “E’ un grande segno di civiltà”.
D. -
Mons. Paglia esposizione di un Crocefisso in una stanza, in una scuola pubblica può
essere considerata un’imposizione?
R. - Io non vedrei
questo. Credo che la grande battaglia che noi dobbiamo fare è che la Croce mostra,
come dire, l’umiliazione da cui ancora oggi tanti giusti, tanti poveri vengono schiacciati:
è un ricordo di cosa accade all’uomo quando la giustizia non viene rispettata e semmai
qui emerge un valore di gratuità, quella gratuità di cui tutti abbiamo bisogno a qualsiasi
fede apparteniamo. In questo senso, c’è una dimensione anche di peso culturale ed
educativo che io credo sia davvero irresponsabile voler cancellare.
D.
- Il fatto, eccellenza, che in precedenza c’erano stati altri ricorsi presso i tribunali
italiani - rifiutati con l’idea che il Crocefisso non fosse solo un simbolo religioso,
ma il simbolo di un’identità culturale - e il fatto che invece poi l’Europa abbia
dato spazio a questa richiesta significa che, in futuro, nel più ampio contesto europeo
verranno meno certe identità specifiche, che in Italia sono più radicate?
R.
- Il Crocefisso è anche, ovviamente, un segno di un’identità. Ma, a mio avviso, è
anche un segno di un’universalità di cui abbiamo bisogno: cioè, di un amore che non
conosce confini, di un amore che è disposto a dare la propria vita anche per gli altri,
persino per i propri nemici. Di questo abbiamo bisogno tutti, ecco perché io in qualche
modo lo sosterrei. Mi sta stretta, troppo stretta la polemica condotta in questo modo,
perché alla fine il problema è tutto ideologico e nient’affatto storico, concreto
e culturale. Ed ecco perché, guardando in maniera ravvicinata, in Italia la cosa è
stata abbondantemente superata senza che creasse problemi particolari.