Afghanistan. Annullato il ballottaggio: Karzai proclamato presidente
Si chiude in Afghanistan una lunga fase di crisi politica. La Commissione elettorale
indipendente ha proclamato stamani Hamid Karzai vincitore delle elezioni presidenziali.
In mattinata, l’organismo aveva annullato il secondo turno di ballottaggio, fissato
per il 7 novembre prossimo, in seguito alla rinuncia dello sfidante di Karzai, Abdullah
Abdullah. Secondo alcuni, l’inevitabile decisione della Commissione rischia, tuttavia,
di far mancare a Karzai quell’imprimatur popolare, necessario di fronte all’instabilità
attuale. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Daniele Archibugi, esperto
di crisi internazionali del Consiglio nazionale delle Ricerche e docente all’Università
di Londra.
R. – Probabilmente
sì, ma soprattutto dimostra che la possibilità di giungere alla pacificazione soltanto
tramite libere elezioni in Paesi che ancora non hanno una vocazione democratica è
stata forse troppo ottimistica. In Paesi come l’Afghanistan gran parte dei risultati
elettorali sono del tutto prevedibili sulla base delle statistiche e sulla distribuzione
etnica della popolazione. Il che vuol dire che si vota non per scegliere un governo
che può cambiare di volta in volta ma per affermare: io sono di questa etnia, io sono
di questa confessione religiosa, di questa tribù. Così ovviamente diventa molto difficile
dare legittimità ad un governo perché ci saranno sempre delle minoranze che non potranno
mai avere accesso al governo, marginalizzate, che reagiscono ricorrendo alla violenza.
D.
– E allargando la visione al Pakistan è opportuno definire a questo punto con urgenza
il ruolo della comunità internazionale?
R. – Senz’altro
la comunità internazionale deve avere un ruolo più attivo nella stabilizzazione della
regione. Purtroppo siamo ancora pagando il prezzo di chi nel 2002 ha pensato di intervenire
in Afghanistan militarmente in una situazione che era già molto delicata anche se
c’era un regime altamente inviso alla popolazione e dopo 7 anni di intervento militare
ancora non si vede una chiara via d’uscita. Non solo, ma adesso l’Afghanistan sta
addirittura portandosi nella instabilità il vicino Pakistan, un Paese che invece aveva
un livello di sviluppo sociale, economico e anche delle istituzioni politiche più
forti e dove le forze endogene a favore della democrazia erano senz’altro più forti
e più radicate di quanto lo fossero in Afghanistan. Quindi, diciamola tutta: la comunità
internazionale ancora non ha in mano alcuna progettualità per risolvere i problemi
di questi Stati.
D. - Qualche tempo fa qualcuno aveva
parlato di possibile dialogo con i talebani: ma esistono frange moderate di questa
fazione con cui parlare?
R. – I talebani sono un’entità
che può essere più o meno grande a seconda di quanto gli si scavi il consenso intorno
e se uno riesce ad avere un dialogo con i gruppi etnici, le tribù che poi forniscono
la materia prima ai talebani, allora è chiaro che le persone disposte a reclutarsi
per i talebani si riducono molto. Quindi si tratta di avviare altri canali, non con
i talebani, ma con la popolazione, che siano canali di inclusione, di partecipazione
politica. Tutte azioni che renderebbero probabile che poi ci siano delle persone che
si buttino nelle braccia di gruppi terroristi come appunto i talebani.