Colloqui all'Onu sul commercio delle armi: i profitti nei Paesi ricchi, i morti nei
Paesi poveri
Le Nazioni Unite si apprestano a discutere nuovamente, in questi giorni, il progetto
per un Trattato sul commercio delle armi. Questo Trattato è stato ricordato anche
nell’elenco finale delle Proposizioni del recente Sinodo per l’Africa del Sinodo dei
Vescovi consegnate al Papa. I negoziati per l’adozione di questo accordo si sono arenati
tre anni fa sulla discussione relativa al traffico illecito di armi di piccolo calibro.
Secondo i dati delle Nazioni Unite nel mondo ci sono 875 milioni di piccole armi in
circolazione. Sull’attuale regolamentazione delle armi a livello internazionale Stefano
Leszczynski ha intervistato Francesco Vignarca, coordinatore della rete
italiana per il disarmo:
R. – Il problema
vero è che non esiste una regolamentazione a livello internazionale. La regolamentazione
è data dalle singole legislazioni nazionali, per cui possono esserci leggi buone,
leggi meno buone ma senza un’armonia. E quindi, se io voglio poi esportare in Paesi
che hanno problematiche, posso girare tranquillamente gli ostacoli con la cosiddetta
“triangolazione”, cioè esporto da un Paese che ha leggi rigide in uno che non le ha
e da quello poi vado a finire nelle zone di conflitto. In Africa, molti studi delle
maggiori organizzazioni mondiali fanno capire come oltre il 95 per cento delle armi
nei conflitti locali provenga da fuori Africa, quindi fondamentalmente loro si ammazzano,
ma chi riesce a guadagnarci denaro sono le aziende anche e soprattutto occidentali. D.
– Quali sono stati, fino ad oggi, gli ostacoli che hanno impedito di arrivare ad un
accordo di questo tipo? R. – Il problema veramente grosso sono
stati sempre gli Stati Uniti, che si sono opposti a qualsiasi tipo di regolamentazione.
Dovete pensare che gli Stati Uniti, oltre ad essere il Paese con oltre il 50 per cento
delle spese militari mondiali, è anche quello che esporta maggiormente. Adesso pare
che, grazie allo sforzo della società civile di molti Stati che si sono spesi per
questo Trattato, si stia arrivando ad una buona situazione. Un Trattato che sia debole
e non sia anche fortemente strutturato per capire chi viola questo Trattato è inutile,
non è quello che le organizzazioni della società civile vogliono. D.
– Da più parti si fa riferimento al Trattato per la messa al bando delle mine antipersona
… R. – Effettivamente, è stata una bellissima stagione, quella
del Trattato contro le mine anti-persona, perché per la prima volta un movimento,
partito dalla società civile e poi preso per mano dagli Stati, ha portato un risultato
concreto, forte e anche definitivo, in un certo senso. Attualmente, ci sono i programmi
degli Stati e delle Nazioni Unite per la distruzione delle mine anti-persona. Il Trattato
internazionale sul commercio delle armi si applicherebbe a tutti i tipi di armi, dalla
pistola all’elicottero alla portaerei; per cui, capite bene che diventa più complesso
accettarlo per tutto il comparto militare industriale che su queste cose ci vive,
ci fa i profitti. D. – Insomma, le piccole armi sono quelle
che vanno per la maggiore, sembra di capire... R. – ...tant’è
vero che l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha dichiarato qualche
anno fa che le armi cosiddette “piccole”, “leggere” sono le vere armi di distruzione
di massa: fanno circa 500 mila morti all’anno. Vuol dire una persona al minuto. Tenete
presente che ogni anno nel mondo vengono prodotti 13 miliardi di munizioni, per cui
sono due pallottole in giro per il mondo per ciascuna persona che abita su questa
terra. Ecco: effettivamente, qui si tratta di un problema grave, di una piaga grossa,
perché sono le armi piccole, leggere che alimentano i conflitti, soprattutto quelli
più dimenticati, soprattutto quelli più violenti, soprattutto quelli nei Paesi più
poveri, come quelli africani.