Anno Sacerdotale: accompagnare i giovani alla scoperta della vocazione. La testimonianza
di don Ennio Bossù
Accompagnare un giovane alla scoperta della propria vocazione: ne parliamo nella nostra
rubrica odierna dedicata all'Anno Sacerdotale. Claudia Di Lorenzi ha incontrato
don Ennio Bossù, per oltre trent’anni sacerdote “fidei donum” in Guatemala,
dove si è occupato a tempo pieno della formazione dei seminaristi, ed oggi rettore
del Seminario Maggiore di Torino:
R. – L’apostolo
Paolo parlava di paternità, di maternità spirituale. Credo che questo aspetto della
vita del padre nella fede dev’essere vissuto pienamente da ogni sacerdote. Egli non
deve solo accompagnare i fedeli ma, se possibile, deve essere per loro un padre o
una madre nella fede, un anziano che guida i passi delle persone nel riconoscere innanzitutto
il progetto che Dio ha per ognuno di loro. Questo l’ho vissuto in prima persona anche
in terra di missione: nonostante le moltissime persone presenti nella parrocchia cercavo
comunque, per ognuna di esse, di sapere il nome, di ricordare la sua storia.
D.
- Gli anni del seminario – ha detto Benedetto XVI - sono “l’attualizzazione del momento
in cui Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede
loro di stare con Lui”. Il vivere in seminario è dunque il vivere in comunione con
Cristo e i fratelli, un momento di grazia…
R. – L’esperienza
in seminario è l’esperienza dei 12 con Gesù per avere un rapporto più intimo, di amicizia
con il Signore nella silenziosa preghiera con il Padre, nella catechesi più approfondita.
Una singolare esperienza di vita comune - come i 12 – nell’accoglienza e nel servizio
reciproco, nella disponibilità a lavarsi i piedi gli uni con gli altri per poi dopo
condividere anche la compassione di Gesù per le folle stanche e sfinite come pecore
senza pastore.
D. - L’esperienza del seminario -
ha detto ancora il Papa – offre l’opportunità di "imparare Cristo" per “lasciarsi
configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote”, in altre parole, per essere altri Gesù.
Quali difficoltà e quali gioie nell’aderire quotidianamente a questo mandato?
R.
– Il Papa Benedetto XVI ha detto quest’anno che nel sì dell’ordinazione sacerdotale
noi sacerdoti abbiamo fatto questa rinuncia fondamentale al voler essere autonomi,
all’autorealizzazione. Bisogna però, giorno per giorno, adempiere questo grande sì
nei molti piccoli sì e nelle piccole rinunce. Questo sì dei piccoli passi costituisce
il grande sì e potrà realizzarsi – dice il Papa – senza amarezza e senza autocommiserazione,
soltanto se Cristo è veramente al centro della nostra vita. E’ anche quanto noi sacerdoti
formatori, comunità educante, sperimentiamo quotidianamente nella vita del seminario.
D.
- In una società come quella attuale, sempre più secolarizzata, a quale compito è
chiamato il sacerdote?
R. – Il sacerdote si deve
caratterizzare sempre di più come esperto di umanità ed esperto delle cose di Dio,
dell’Assoluto. Penso anche che possa esercitare un certo fascino con la presenza di
testimoni e di persone con il cuore indiviso, come diceva l’Apostolo Paolo, che amano
senza riserve e si dedicano completamente al regno del Signore.
D.
- Vuole fare un augurio ai giovani presbiteri da poco avviati al ministero sacerdotale?
R. – Come hanno detto i vescovi italiani nel documento
“La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana”, oltre alla missionarietà agente
che si esprime nel servizio come prete “fidei donum” ed oltre alla missionarietà all’interno
della diocesi e delle parrocchie, c’è una missionarietà del cuore che si manifesta
nella piena disponibilità a faticare per il Vangelo e a privilegiare l’incontro con
chi non crede o non pratica.