Oggi la Beatificazione del vescovo ungherese Zoltán Lajos Meszlényi, martire del regime
comunista: la riflessione di mons. Amato
Questa mattina nella Basilica di Esztergom, in Ungheria, nel corso di una Messa solenne,
sarà elevato all’onore degli altari il Servo di Dio Zoltán Lajos Meszlényi, vescovo
e martire. Il presule ungherese è stato un coraggioso pastore, che ha offerto la sua
vita alla cura spirituale e alla promozione umana dei fedeli della diocesi di Esztergom,
di cui fu ausiliare tra il 1937 e il 1950. Durante la persecuzione del regime comunista
ungherese contro la Chiesa, fu deportato dalla polizia nel campo di internamento di
Kistarcsa e morì in seguito alle torture, il 4 marzo 1951. La Santa Messa è presieduta
dal cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, mentre a leggere la formula
di Beatificazione sarà l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle
Cause dei Santi, rappresentante del Papa. Al microfono di Roberto Piermarini, mons.
Amato indica i tratti della figura del nuovo Beato: R.
- Zoltán Lajos nacque il 2 gennaio 1892 in una famiglia di solida tradizione cattolica.
Chiamato al sacerdozio, conseguì presso la Pontificia Università Gregoriana il dottorato
in Filosofia e in Teologia e il baccalaureato in Diritto Canonico. II 28 ottobre 1937
fu ordinato vescovo e nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Esztergom in Ungheria.
La sua preparazione e il suo zelo pastorale gli permisero una notevole operosità pastorale
e culturale. Subito dopo la seconda Guerra Mondiale, il regime comunista ungherese
iniziò a infierire contro la Chiesa cattolica, applicando nei suoi confronti forme
di intolleranza che sfociarono spesso in momenti di persecuzione violenta e sanguinaria.
Evento emblematico di questo periodo di terrore e di vera e propria oppressione fu
l’arresto del Primate d’Ungheria, l’arcivescovo Jozsef Mindszenty.
D.
- Quale fu il movente che scatenò l’ira del regime ungherese?
R.
- L’ “odium fidei”, l’odio verso Dio e verso la Chiesa. Le tenebre del male che non
accettano la luce del bene.
D. - Come si è consumato
il martirio di mons. Meszlényi?
R. - Nel 1950, in
contrasto con il volere governativo, i canonici della cattedrale di Esztergom-Budapest
elessero il Servo di Dio come nuovo Vicario capitolare, riconoscendone la rettitudine
e la fermezza. Mons. Meszlényi, pur consapevole dei rischi, accettò la nomina con
prontezza e disponibilità. La repressione del regime non si fece attendere. Dieci
giorni dopo, il vescovo venne arrestato e, senza alcun processo, fu internato nello
stabilimento penale di Recsk e poi deportato nel campo di concentramento di Kistarcsa,
presso Budapest, in isolamento. Iniziarono così otto mesi di crudele prigionia, fatta
di mancanza di cibo e riscaldamento, inasprita dal lavoro forzato e da violenze e
torture indicibili, di cui sono maestri gli oppressori di ogni tempo. Dinanzi al dilemma
‘fedeltà-tradimento’, il Servo di Dio confermò con fortezza la sua fedeltà al Vangelo,
vivendo la perversità degli eventi, fiducioso nella misericordia e nella provvidenza
divina. Sopportò tutto con amore. Morì sfinito di stenti il 4 marzo 1951. La prigionia
disumana lo aveva letteralmente ucciso. II movente del suo martirio fu l’ “odium fidei”,
l’odio dei carnefici nei confronti di Gesù, del Vangelo, della Chiesa. E’ il mistero
del male che genera odio, lasciando una scia di morte, distruzione e dolore indicibile.
D.
- Come reagì alla sua morte il regime comunista ungherese?
R.
- Appena si seppe la notizia della sua morte, coloro che lo avevano conosciuto videro
nella vicenda di mons. Meszlényi il sigillo del martirio. II regime ostacolò in tutti
i modi la possibilità di svolgere ricerche e approfondimenti. Ma, come si sa, la menzogna
non può vincere a lungo sulla verità. Dopo la caduta del regime la verità si affermò
in tutta la sua evidenza per la molteplice testimonianza di documenti e di persone.
D. - Quale messaggio lascia all’uomo di oggi il
nuovo Beato?
R. - Ancora oggi la Chiesa è una Chiesa
di martiri, cioè di testimoni forti e coraggiosi del Vangelo. Il martire cristiano
ha una ben precisa qualifica. Viene ucciso, non uccide. Viene ucciso per odio nei
confronti di Gesù e del suo Vangelo di vita e di verità. Ma la sua risposta non è
l’odio ma l’amore, non è la vendetta, ma il perdono, non è il risentimento ma la preghiera
per gli stessi persecutori e carnefici. E’ questa la grande lezione di vita che mons.
Meszlényi lascia a noi oggi.