La genetica in cerca della vita artificiale: il commento di Dallapiccola
''E’ moralmente inaccettabile e pericoloso per il genere umano": così l'arcivescovo
Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, commenta
i risultati della ricerca effettuata da scienziati della Stanford University e pubblicati
dalla rivista Nature, in base ai quali sarà possibile mutare cellule staminali in
cellule germinali umane, precursori di ovuli e spermatozoi. Secondo gli autori della
ricerca si aprirebbero così nuovi orizzonti nella cura dell’infertilità. Ma quanto
c’è di vero in questo studio? Luca Collodi lo ha chiesto a Bruno Dallapiccola
docente di Genetica medica all’Università romana La Sapienza.
R. – Siamo
ancora molto lontani dalla possibilità di avere cellule staminali che siano utilizzabili
per correggere il problema dell’infertilità o della sterilità. E il risultato dei
laboratori permette semplicemente di dire che cellule staminali embrionali umane trattate
opportunamente permettono di ottenere cellule che esprimono tre proteine che sono
caratteristicamente presenti negli spermatozoi umani. Teniamo presente che uno spermatozoo
umano ne brucia centinaia di proteine. Quindi, non abbiamo assolutamente evidenza
che queste strutture funzionino e questo è il problema più critico di tutto l’esperimento.
D.
– Questo esperimento punta a ricavare ovuli e sperma per la procreazione dalle cellule
staminali. Possiamo dire questo?
R. – Sì, aggiungerei
dalle cellule staminali embrionali, il che comporta un altro tipo di problema, soprattutto
in un momento in cui c’è una fetta importante di coloro che lavorano tradizionalmente
con le cellule staminali embrionali, che si stanno sforzando in tutt’altro settore.
Ormai da un paio di anni, prima sui modelli animali, poi sull’uomo, si è dimostrato
che cellule adulte possono essere riprogrammate per produrre cellule staminali di
caratteristiche simili o identiche a quelle embrionali. Questo naturalmente supererebbe
il problema etico, perché non c’è dubbio che ci dobbiamo domandare se sia lecito creare
in laboratorio un embrione per poi distruggerlo e ottenere dei gameti che diano la
possibilità di fertilità. D. – Di fatto, noi avremo - ammesso
che questo esperimento possa funzionare - dei bambini senza né padre né madre?
R.
– Assolutamente sì. E questo naturalmente è un altro tipo di riflessione, perché io
penso che il problema dell’essere padre o madre non è frutto semplicemente di un capriccio:
dovrebbe venire da due persone di sesso opposto che fanno un certo tipo di progetto
che deve essere poi nell’interesse del figlio. La scienza sta proponendo qualcosa
che solo pochi lustri fa non era pensabile. Qualcuno, però, credo, farebbe bene a
riflettere che tutto ciò che il laboratorio produce effettivamente è un qualcosa che
va poi applicato nella vita pratica. Insomma, quella barriera etica che dovrebbe minimamente
guidare la ricerca, soprattutto quando si parla di vita umana, credo vada rispettata.
D. – Chi punta a portare la nascita della vita in
laboratorio?
R. – Direi che di base ci vuole una
spregiudicatezza nella ricerca. Secondariamente, assolutamente, problemi di tipo economico.
Quando parliamo di coppie, che mediamente al 15 per cento hanno problemi di fertilità,
e se pensiamo che si va verso un futuro in cui per questione di stili di vita, inquinamento
e quant’altro, aumenterà la percentuale di coppie sterili, immaginiamoci che razza
di business esiste.
D. – Questo tipo di ricerca
può fermarsi o no, secondo lei?
R. – No, io penso
che in questo momento non esistono forze che siano in grado di fermare ricerche di
questo tipo. Lo vediamo anche in quello che capita con la ricerca delle cellule staminali
in Europa, dove c’è stata una variegatura di interventi, ma una sostanziale apertura
negli anni passati alle cellule staminali embrionali. Ci saranno pressioni e interessi
economici che spingeranno molto più a favore del proseguimento di questo tipo di ricerche.