Gli artisti incontrano il Papa: intervista con mons. Ravasi
Il 5 novembre prossimo, mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, presenterà nella Sala Stampa della Santa Sede l’incontro
di Benedetto XVI con gli Artisti. L’evento, in programma per il 21 novembre, vuole
ricordare il decimo anniversario della Lettera di Giovanni Paolo II agli Artisti.
Sugli obiettivi di questo incontro Fabio Colagrande ha sentito lo stesso mons.
Ravasi:
R. – Vuole
stabilire un contatto proprio per riannodare un filo che era stato aperto 45 anni
fa, proprio nello stesso ambito della Cappella Sistina, da Paolo VI con un discorso
memorabile, con il quale Paolo VI chiedeva agli artisti di continuare a carpire dal
cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di
accessibilità ponendo così un legame tra fede e arte. Ecco, il filo conduttore parte
da là e passa poi attraverso il decennio di questa Lettera degli Artisti. Il problema
centrale è proprio che questo filo si è o allentato, in molti casi, oppure semplicemente
interrotto, perché i due mondi dell’arte e della fede in questi ultimi tempi, rompendo
una tradizione secolare, si sono avviati su sentieri che sono completamente divergenti. D.
– Di un distacco tra il mondo dell’arte e il mondo della fede nell’età contemporanea
parlava lo stesso Giovanni Paolo II, in quella Lettera. Quali le cause di questo distacco?
R. – Questo distacco ha cause ben precise, che sono da un lato
ormai la radicale secolarizzazione della società contemporanea, per cui anche gli
artisti hanno lasciato su uno scaffale polveroso – potremmo dire – tutte le narrazioni,
i simboli, le figure, le grandi tradizioni iconografiche che erano assunte soprattutto
da quel grande codice che era la Bibbia. Per questo, riteniamo che sia importante
che Benedetto XVI abbia voluto ancora fare incontrare questi due orizzonti, perché
in effetti qualche elemento ha continuato a permanere, e soprattutto ha continuato
la grande tradizione del passato. Voglio solo fare un esempio, quello riguardante
l’architettura. L’architettura sacra in questi ultimi tempi ha visto i più grandi
architetti che hanno voluto ancora tentare di riproporre lo spazio sacro secondo canoni
nuovi. Quindi, non si era del tutto interrotto questo filo: bisogna cercare di riannodarlo
perché questo sarà positivo sia per la fede, sia per l’arte. D.
– Teologicamente, che cosa la colpì in particolare di questa Lettera scritta dieci
anni fa da Giovanni Paolo II? R. – Da un punto di vista teologico,
sicuramente il rimando a una teologia dell’arte che ha avuto la sua espressione più
alta nel secolo scorso attraverso l’opera “Gloria” di Hans Urs von Balthasaar. Ma
d’altra parte, anche – direi – quella “via pulchritudinis” - la via della bellezza
- che era stato uno dei grandi percorsi d’altura, quasi, della fede, della teologia
in certi periodi della storia. Secondo elemento che sicuramente è significativo, è
aver usato ripetutamente gli artisti, i letterati, i poeti, le testimonianze musicali
per intessere il discorso teologico: ricordando cioè quello che diceva un grande teologo,
storico della teologia, come Chenu, il quale ricordava che nella sua opera sulla teologia
del XII secolo, è importante considerare anche le espressioni artistiche come luoghi
teologici, cioè come un modo anch’esso aperto per scoprire il mistero di Dio, come
lo è la teologia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)