Presentata in Vaticano la mostra su padre Matteo Ricci: intervista col prof. Paolucci
“Ai crinali della storia. Padre Matteo Ricci (1552-1610) fra Roma e Pechino” è la
mostra, presentata stamani in Sala Stampa vaticana, per ricordare il missionario gesuita
nel quarto centenario della sua morte. Un allestimento, composto da 5 sezioni e visitabile
presso il Braccio di Carlo Magno, in Vaticano, a partire da venerdì fino al 24 gennaio
2010. Alla presentazione ha partecipato anche mons. Claudio Giuliodori, vescovo di
Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, che ha auspicato un’accelerazione del percorso
di santità di padre Ricci, partito da Macerata e fattosi “cinese tra i cinesi” fino
alla sua morte. Scienziato, sinologo e missionario: tanti aspetti ma come condensarli
in una mostra? Benedetta Capelli lo ha chiesto al prof. Antonio Paolucci,
direttore dei Musei Vaticani e curatore della mostra: R.
– Devo dire che ha avuto un grosso merito l’allestitore e lo scenografo Pierluigi
Pizzi, il quale ha giocato la mostra su due colori: uno è un azzurro ghiacciato e
luminoso, e questo è il colore dominante nella sezione dell’Occidente - l’Italia,
Roma, l’Europa dalla quale veniva Matteo Ricci - l’altro invece è il colore rosso
imperiale, il colore delle lacche cinesi, e questa è la parte che riguarda il nuovo
mondo che Matteo Ricci ha abitato, ha scoperto e ha assorbito. Quindi, due mondi che
si confrontano e hanno il loro “trait d’union” proprio in Matteo Ricci negli anni
che vanno dal 1580 al 1610. E siccome Pizzi è molto bravo ha messo due fuochi che
dominano il primo e secondo settore. In quello cinese c’è il grande altare di Confucio,
che viene dal Museo etnografico missionario vaticano, e di fronte c’è l’immagine di
Buddha, compassionevole e sorridente. Mentre invece il fuoco della “pars occidentis”
è un grande e bellissimo quadro di Pier Paolo Rubens, con la glorificazione di Ignazio
di Loyola, che viene dalla Chiesa del Gesù di Genova.
D.
– Cinque sono le sezioni dell’allestimento, l’ultima è l’eredità e l’inculturazione...
R.
– Per quanto riguarda l’eredità ho scritto, con una certa ironia, che ci voleva un
Paese comunista e ateo come la Repubblica popolare cinese di oggi per esaltare il
ruolo di Matteo Ricci. Infatti, per la Cina di oggi, Matteo Ricci è uno dei padri
fondatori della civiltà cinese. Nel Millennium Center di Pechino, che è il luogo cerimoniale
del partito di governo, c’è un fregio in marmi policromi di grandi dimensioni, che
racconta in sintesi la storia cinese. Sono tutti cinesi, non ci sono stranieri, ad
eccezione di due italiani: uno è Marco Polo e l’altro è Matteo Ricci. I cinesi hanno
scelto dalle culture del mondo due soli stranieri e tutti e due sono italiani. Questo
per dire chi è oggi per i cinesi padre Ricci o Li Madou, come lo chiamano loro.
D.
– Abbiamo parlato della figura e del peso di Matteo Ricci nel passato. Oggi cosa rappresenta
ancora questo gesuita?
R. – Matteo Ricci ha dimostrato
con grande anticipo sui tempi, secondo me, che quando si entra a contatto con una
cultura diversa bisogna diventare mimetici di quella cultura, bisogna farsi liquidi,
flessibili, bisogna farsi penetrare in qualche modo dalla sensibilità, dallo spirito
del popolo che ti ospita.
D. – A chi non conosce
padre Matteo Ricci cosa consegna questa mostra?
R.
– Questa capacità seduttiva e coinvolgente della cultura, perché lui non va in Cina
a predicare il cristianesimo, questo lo fa in modo obliquo: lui porta lì la cultura
di Occidente, porta la modernità occidentale di tipo scientifico e tecnologico e lui
seduce il popolo, e soprattutto la corte imperiale con queste cose.
D.
– Se lei dovesse scegliere un’immagine che questa mostra contiene per raccontare Matteo
Ricci quale sarebbe?
R. – Io sceglierei l’Atlante
della Cina. Matteo Ricci si fa anche cartografo. Per l’imperatore di Cina rappresenta
il Paese asiatico e lo fa con grande abilità, perché fa capire in modo graduale che
al mondo non c’è solo la Cina, ci sono anche le altre nazioni, gli altri continenti.
Non era facile farlo accettare dalla cultura cinese e lui ci riesce. Fa un’operazione
scientifica, introduce qualcosa di nuovo e riesce a farlo accettare.