Il terrorismo colpisce Pakistan e Afghanistan: 100 morti a Peshawar
Afghanistan e Pakistan sempre più in balia del terrorismo filo-talebano. Un gravissimo
attentato stamattina ha colpito il Bazar Meena, mercato nel centro della città settentrionale
pachistana di Peshawar. Pesante il bilancio delle vittime: almeno cento i morti e
oltre 200 feriti. Solidarietà al governo di Islamabad è stata espressa dagli Stati
Uniti. “Washington resterà al fianco del Pakistan nella loro lotta contro i brutali
gruppi estremisti”, ha detto il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, in
visita ad Islamabad. Sempre questa mattina attacco dei terroristi ad una foresteria
dell’Onu, nel centro della capitale afghana, Kabul. In questo caso si parla di nove
persone rimaste uccise, tra cui 6 operatori dell’Onu. L’attacco, già rivendicato dai
Talebani, ha visto il coinvolgimento anche di un vicino albergo, colpito da un razzo.
Sugli obiettivi della guerriglia, Giancarlo La Vella ha sentito Alessandro
Colombo, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Milano:
R. – E’ molto
probabile che gli obiettivi siano diversi in Afghanistan e in Pakistan e siano diversi
persino all’interno dell’Afghanistan. Continuiamo a parlare di un soggetto talebano
al singolare, mentre è evidente che la guerriglia ha assunto una forma molto diversa,
nella quale confluisce ciò che resta del vecchio regime talebano, alcune altre milizie
islamico-radicali, che avevano combattuto contro i talebani, in più altri soggetti
che sono a cavallo tra obiettivi quasi privati e politici e quelli dei trafficanti
di droga. Quindi, c’è un po’ di tutto che sta confluendo su un unico scopo, che è
quello, naturalmente, di destabilizzare l’Afghanistan per rendere difficile o impossibile
l’opera del contingente internazionale. L’obiettivo politico-militare è quello sostanzialmente
di aumentare continuamente i costi della penetrazione americana, o occidentale in
genere, nella propria regione di appartenenza e l’unico modo è quello di aprire sempre
più fronti e di prolungarli nel tempo, perché il nemico possa porsi la domanda: “Ha
ancora senso restare, oppure no?” D. – Che cosa lega l’Afghanistan
e il Pakistan in questo momento?
R. – Questo è forse
uno dei paradossi centrali della strategia fallimentare, fino ad oggi, almeno, della
politica degli Stati Uniti e dei loro alleati nella regione. L’idea originaria era
che il Pakistan potesse procurare risorse per la stabilizzazione dell’Afghanistan,
invece, è avvenuto esattamente l’opposto, e cioè l’instabilità afghana si è propagata
al Pakistan fino a renderlo uno Stato al limite del collasso.
D.
– La comunità internazionale che utilità, strategica soprattutto, ha a questo punto
nel rimanere in questa regione?
R. – La sensazione
è che, più che un’incertezza sul modo di gestire la missione, ci sia un’incertezza
sull’obiettivo della missione. L’obiettivo della missione è diventato quasi incomprensibile,
sinceramente. Non si può pensare, naturalmente, di ottenere ciò che si dichiarava
all’inizio, cioè la democratizzazione dell’Afghanistan. Credo che la riflessione,
soprattutto americana, su quello che dovrà essere fatto nel Paese nei prossimi mesi
riguardi proprio gli obiettivi molto più che gli strumenti.
D.
– Dietro a queste frange talebane potrebbe esserci l’ombra di al Qaeda allo scopo
di realizzare l’obiettivo di un’internazionale terroristica?
R.
– Al Qaeda c’è, sia in Afghanistan sia in Pakistan, ma non si capisce bene quale sia
il peso della rete terroristica rispetto a tutte le alte componenti. La strategia
di al Qaeda è quella di costringere Stati Uniti e alleati ad assumersi impegni eccessivi.
Questa è precisamente la strategia ch viene dichiarata in molti documenti, in molte
riflessioni anche di al Zawahiri, ovvero, non tanto la riconquista di un pezzo di
territorio, ma l’apertura di una serie continua di fronti che mettano gli Stati Uniti
di fronte all’impossibilità di gestirli efficacemente tutti insieme.