Sinodo per l'Africa: il bilancio del cardinale Erdö
Sinodo per l’Africa: è tempo di bilanci a due giorni dalla chiusura dell’importante
evento ecclesiale. All’assemblea ha partecipato anche il cardinale Péter Erdö,
arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali
d’Europa. La collega Marta Vertse, incaricata del programma ungherese della
Radio Vaticana, lo ha intervistato:
R. – Alla
fine del Sinodo l’atmosfera è di speranza, di energia profusa dallo Spirito Santo,
soprattutto, e anche di energia che viene dai nostri confratelli vescovi che sono
determinati a lavorare per la riconciliazione e la pace che non è possibile in Africa
– e forse neanche altrove – senza il contatto giusto tra l’uomo e Dio: perché questo
rapporto personale è la fonte di tutte le energie che poi trasformano anche le relazioni
tra gli uomini. E così le nostre comunità cattoliche sono il nucleo che può dare speranza
alla società, che può anche rappresentare un grande segno di riconciliazione e di
prontezza al perdono, all’aiuto a vivere la misericordia. Senza la misericordia, infatti,
che in ultima analisi è una delle proprietà di Dio stesso, senza questa misericordia
non c’è pace e non c'è giustizia tra gli uomini.
D.
– Per quello che riguarda la concreta collaborazione tra i vescovi europei e africani
ci sono progressi?
R. – Sì; anche se non tutti questi
passi sono stati fatti nell'Aula sinodale. Contemporaneamente al Sinodo c’è stato
un incontro importante tra le due commissioni dei due organismi episcopali incaricati
del rapporto Africa-Europa. Abbiamo programmato i prossimi incontri che si riferiscono
al clero, soprattutto ai sacerdoti “fidei donum”, sacerdoti africani che lavorano
nelle nostre Chiese particolari e che, allo stesso tempo, possono accompagnare anche
i profughi, gli emigrati provenienti dall’Africa; abbiamo parlato anche di altre forme
di solidarietà. Vogliamo dedicare un altro incontro comune, preceduto però da un’indagine
estesa a tutta l’Europa e a tutta l’Africa, sui gemellaggi tra le diocesi, perché
questa è una forma molto concreta e molto stretta e molto ecclesiale della nostra
solidarietà: conoscere le esperienze pastorali delle altre diocesi, conoscere i bisogni,
conoscere le speranze, conoscere i metodi pastorali, la vita cristiana e poi realizzare
non soltanto a livello teorico ma nella pratica quel famoso scambio di doni di cui
parlava già Giovanni Paolo II e di cui si è parlato ripetutamente anche nel Sinodo.