Si è svolto nei giorni scorsi all’Università Cattolica di Milano un convegno sull’Inferno:
al centro dell’incontro la domanda se sia possibile ancora oggi pensare alla dannazione
eterna di fronte all’infinita misericordia divina. Durante il simposio si è sottolineato
il fatto che oramai, anche nelle omelie, si parla sempre meno di Inferno. Fabio
Colagrande ne ha chiesto il motivo a mons. Giacomo Canobbio, docente di
Teologia Sistematica alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presente all’incontro:
R. – A me
pare che le cause siano due. La prima è l’enfasi posta sulla misericordia di Dio.
Se Dio è davvero misericordioso - e lo ha manifestato nella vicenda di Gesù - come
si può immaginare che ci sia una condanna definitiva per qualcuno? La seconda ragione
mi pare stia nel fatto che si ritengono le immagini tipiche con cui si descriveva
l’Inferno, ormai obsolete, a fronte di una concezione scientifica del mondo. Ora,
mettendo insieme le due ragioni si arriva a capire come mai ci sia una certa ritrosia
a parlare dell’Inferno. Un po’ anche perché nella mentalità dominante c’è bisogno
solo di gratificazione, non di valutazione dei propri atti. D.
– Mons. Canobbio, uno dei punti centrali della cosiddetta “teologia di Inferno e Paradiso”
è ricordare che sono possibilità aperte alla nostra libertà e responsabilità. Forse,
spiegando bene questo concetto si potrebbe in qualche modo contrastare questa dimenticanza
dell’Inferno? R. – Dalla parte di Dio, bisogna riconoscere che
c’è l’offerta della misericordia, diversamente Gesù Cristo non ci sarebbe: Gesù Cristo
è il Volto misericordioso di Dio che è apparso nella storia. Però, di fronte a questo
Volto misericordioso, la persona umana deve decidersi. Se si ritenesse che comunque
Dio voglia a tutti i costi salvare, indipendentemente dalla volontà umana, non ci
sarebbe più responsabilità della persona umana, sia nella sua salvezza sia nel fallimento
della sua esistenza. Dio vuole degli interlocutori dialogici e la persona umana mette
in gioco se stessa di fronte alla misericordia di Dio. In ultima analisi, sono io
che decido di fronte ad un’offerta di misericordia, se accoglierla oppure no. D.
– Però, teologicamente, non si può escludere che la grazia, la misericordia di Dio,
si oppongano a questa scelta di definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio
stesso … R. – Certo. Noi non possiamo precisare se a fronte
della misericordia di Dio qualcuno effettivamente abbia opposto il suo rifiuto: non
lo possiamo dire e non lo può dire neppure la Chiesa, che non a caso può beatificare,
canonizzare, ma non può mai dichiarare che la persona “XY” è all’Inferno – per usare
il linguaggio abituale – perché il compito della Chiesa è semplicemente quello di
annunciare il Vangelo della salvezza. Ma se noi togliessimo la possibilità ad una
persona di rifiutare la misericordia di Dio, noi distruggeremmo ciò che è più originale
nella persona umana, e cioè la sua libertà e la possibilità di disporre di se stessa. D.
– Dunque, è lecito sperare per tutti la salvezza? R. – Direi
che è proprio questo il messaggio cristiano! Sperare per tutti non vuol dire: allora,
tutti sicuramente si salvano! Vuol dire che il mio atteggiamento di cristiano che
ha conosciuto la misericordia di Dio, vorrebbe condividere il desiderio di Dio di
salvare tutti. Peraltro, nel Vangelo di Matteo c’è un passaggio interessantissimo,
nel capitolo 18.mo, dove Gesù indica alcuni atteggiamenti da assumere nei confronti
di chi ha sbagliato. Dice: 'il Padre vostro celeste non vuole che alcuno si perda'.
Ecco: questo è l’atteggiamento cristiano. (Montaggio a cura di Maria Brigini)