La Beatificazione di Don Carlo Gnocchi: le riflessioni di mons. Amato e mons. Pelvi
Le ultime ore prima della beatificazione di Don Carlo Gnocchi sono scandite dalla
preghiera. A Milano i fedeli potranno pregare davanti al corpo del “papà dei mutilatini”
fin da oggi pomeriggio nella chiesa di San Bernardino alle Ossa, lo stesso luogo in
cui nel 1956 Don Gnocchi fu deposto poche ore dopo la morte. Alle 21, nella chiesa
di Santo Stefano, adiacente a quella di San Bernardino, avrà inizio la veglia di preghiera.
Domani mattina, poi, un corteo accompagnerà l’urna con le spoglie del sacerdote in
Piazza Duomo per l’abbraccio di oltre 40 mila fedeli che assisteranno alla cerimonia
di Beatificazione. Il rito si terrà alla presenza dell’arcivescovo Angelo Amato, prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi e rappresentante del Santo Padre. Ripercorriamo
la vita di Don Carlo nel servizio di Amedeo Lomonaco:
Don Carlo
Gnocchi è nato a San Colombano al Lambro il 25 ottobre del 1902. L’infanzia è segnata
dalla morte del padre e dei due fratelli maggiori. Nel 1925 viene ordinato sacerdote.
Per se stesso e gli altri indica la via maestra della santità: nel 1934, rivolgendosi
ai giovani del suo Oratorio, afferma che “nulla è più santificante e salvifico della
santità” “che irradia tacitamente fede e bontà”. Nel ruolo di educatore è sempre animato
da entusiasmo ed ottimismo: nel libro “Educazione del cuore” del 1937 scrive che “bisogna
far sentire ai giovani che i buoni non sono pochi, che la virtù esiste ancora”.
Confida sempre nella forza dell’amore, che permette all’uomo di “evadere dalla
clausura dell’io”. Nel 1940 l’Italia entra in guerra e molti giovani studenti
vengono chiamati al fronte. Don Carlo si arruola come cappellano volontario e parte
per il fronte greco albanese. Nel 1942 riparte per il fronte, questa volta in Russia.
Anche nel gelido della steppa russa il suo cuore arde di carità e amore evangelico:
in un soldato morente scorge “i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera
essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore”. Durante
la drammatica ritirata del contingente italiano, don Carlo viene trovato stremato
ai margini della pista dove passavano i soldati. È proprio in questa tragica esperienza
che matura in lui l’idea di realizzare una grande opera di carità. A partire dal 1945
comincia a prendere forma il suo progetto di aiuto ai sofferenti. Nel 1949 l’Opera
di don Gnocchi ottiene un primo riconoscimento ufficiale: la “Federazione Pro Infanzia
Mutilata”, da lui fondata l’anno prima per meglio coordinare gli interventi assistenziali
nei confronti delle piccole vittime della guerra, viene riconosciuta ufficialmente
dalla Repubblica italiana. La sua metodologia riabilitativa trova poi realizzazione
concreta nel Centro Santa Maria Nascente di Milano, del quale assiste alla posa della
prima pietra nel settembre 1955. Malato da tempo, don Carlo si spegne a Milano il
28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto è la donazione delle cornee a due ragazzi non
vedenti confermando ancora una volta il suo totale affidamento alla carità e all’amore
evangelico. La testimonianza di don Carlo Gnocchi ci ricorda che tutti devono
tendere verso Dio, sforzandosi di essere – come ha detto lo stesso sacerdote lombardo
- “cristiani attivi, ottimisti, sereni, concreti e profondamente umani, che
guardano al mondo non più come ad un nemico da abbattere o da fuggire, ma come ad
un prodigo (il figliol prodigo del Vangelo) da conquistare e rinnovare con l’amore”.
Sulla
figura di don Carlo Gnocchi, Roberto Piermarini ha intervistato il prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi, mons. Angelo Amato:
R. - La vocazione
sacerdotale e un mistero di grazia. E’ uno scambio meraviglioso tra Dio e un uomo.
L’uomo dona a Cristo la sua umanità, affinché il Signore se ne possa servire come
strumento di salvezza, quasi facendo di quest’uomo un altro se stesso. La vocazione,
la sequela di Gesù, trovò nel cuore del tredicenne Carlo Gnocchi una tale risonanza
spirituale, da spingerlo a rinunciare a tutto per Cristo, nella certezza che per questa
strada la sua personalità si sarebbe pienamente realizzata. Questa è la chiave della
sua figura sacerdotale. Don Gnocchi era un sacerdote tutto di Cristo, entusiasta della
sua vocazione e della sua vita donata al Signore.
D.
– Dove nasce il suo molteplice apostolato e la sua dedizione assoluta ad aiutare il
prossimo?
R. - Proprio nel dono totale che egli fece
di sé a Gesù. Già nei suoi primi impegni nelle parrocchie della diocesi di Milano
egli fu incaricato di seguire i fanciulli, i ragazzi e i giovani in quella realtà
originale che è l’ “Oratorio”, invenzione provvidenziale dell’apostolato giovanile
cattolico. Qui don Carlo espresse al meglio le sue capacita educative, proponendo
ai giovani senza incertezze una meta spirituale di alto profilo. Al pari del grande
educatore san Giovanni Bosco, don Carlo era infatti convinto che la gioventù «è fatta
non per il piacere ma per l’eroismo»; che «la gioventù deve volare per non strisciare»
; e che per questo occorre «battere al cuore dei giovani con fermo coraggio».
D.
– Quale fu il suo atteggiamento durante il periodo fascista?
R.
- Con coraggio e prudenza, allo stesso tempo. Don Carlo era convinto di non dover
lasciare al fascismo il controllo e l’azione educativa delle giovani generazioni.
Come cappellano di gruppi giovanili, con enorme rischio, egli si attenne sempre alle
direttive degli arcivescovi milanesi, soprattutto del beato cardinale Ildefonso Schuster.
che fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. Questa sua disponibilità educativa
ed apostolica così fu da don Carlo stesso descritta in una lettera indirizzata proprio
al suo santo Arcivescovo: «La presenza continua del sacerdote in mezzo a quei giovani
non solo impedisce eccessi, ma dà un tono di moderazione a tutto l’ambiente e produce
anche frutti positivi di bene».
D. – In questo periodo oltre all'Oratorio,
Don Gnocchi ebbe anche altri incarichi?
R. - Questo
suo atteggiamento di educatore cristiano Don Carlo lo continuò anche quando fu direttore
spirituale presso il Gonzaga, la prestigiosa scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Anche a questi giovani egli trasmise entusiasmo, passione per il Vangelo, desiderio
di santità. Da queste sue esperienze educative nacquero libri che ebbero grande diffusione:
Andate e insegnate (1934), Educazione del cuore (1937), I giovani del nostro tempo
e la direzione spirituale (1940), ai quali in seguito si aggiunsero Restaurazione
della persona umana (1946) e Pedagogia del dolore innocente, che fu pubblicato pochi
giorni dopo la sua morte (1956), quasi suo testamento spirituale. In queste sue opere
Don Carlo richiamava costantemente il primato della santità, ripetendo spesso: «Nulla
è più santificante e salvifico della santità. Credetelo!». Una santità che si realizzava
nell’educazione di un cuore, capace di amare, nel matrimonio, il coniuge e i figli.
Per Don Gnocchi l’amore era la forza più benefica del mondo, perche Dio stesso è amore:
«Amare vuole dire donarsi, dimenticarsi, sacrificarsi».
D.
- Come visse Don Gnocchi il periodo della seconda guerra mondiale?
R.
- Animato da questo zelo incontenibile ritenne suo dovere di educatore accompagnare
i suoi giovani nella terribile esperienza della guerra, per essere loro vicino nei
momenti di dolore, di paura, di smarrimento, di morte. Fu l’angelo consolatore dei
valorosi alpini italiani durante la tragica ritirata di Russia, quando l’esercito
italiano fu decimato. Fu allora che sorse il desiderio di fondare opere di carità
per lenire il dolore innocente.
D. - Don Gnocchi
fu anche arrestato dalle SS…
R. - Fu arrestato dalle
SS il 17 ottobre 1944. Impegnato nella Resistenza, egli aiutava gli ebrei e i perseguitati
politici a rifugiarsi in Svizzera. Fu liberato per interessamento del Cardinale Schuster.
D.
- Quando prese vita il suo progetto di aiuto all'infanzia mutilata?
R.
- L’8 dicembre 1945 una giovane madre disperata gli affidò il suo piccolo Paolo, orribilmente
mutilato da un residuo bellico. Da quel momento Don Carlo spese tutte le sue energie
per raccogliere e assistere le piccole e innocenti vittime della guerra. L’ultimo
decennio della sua vita fu una vera epopea di carità, mediante la fondazione oggi
chiamata Fondazione don Carlo Gnocchi. Si spense il 28 febbraio 1956 a poco più di
53 anni. In via del tutto eccezionale, i funerali si svolsero nel Duomo di Milano
il 1 marzo 1956. Salutando il sacerdote defunto, un piccolo mutilatino disse tra la
commozione generale: «Prima ti dicevo: Ciao Don Carlo. Ora ti dico: Ciao, San Carlo».
D.
- Cosa dice all’uomo di oggi Don Carlo Gnocchi?
R.
- Ai fedeli ripropone la meta di ogni cristiano: la propria santificazione. Agli sposi
ricorda la gioia dell'amore vicendevole e l’impegno dell’educazione cristiana dei
propri figli. Ai sacerdoti, in questo benedetto Anno Sacerdotale, ripete che il sacerdote
deve continuamente specchiarsi in Cristo Gesù, esserne l'immagine e la voce, come
seminatore di gioia e di speranza. Il gesto supremo della sua carità fu il dono delle
sue cornee, affinché due piccoli potessero tornare a vedere. Fu il primo trapianto
di cornee in Italia, un gesto che commosse il mondo. Ma a Don Carlo premeva soprattutto
un altro trapianto, quello spirituale del cuore, in modo da cambiare il nostro cuore
di pietra in cuore di carne, come il cuore misericordioso di Gesù.
La carità
e l’amore per Dio sono i tratti distintivi di Don Carlo Gnocchi. Il suo esempio è
per la Chiesa una proposta concreta. E’ quanto sottolinea, al microfono di Luca
Collodi, l’ordinario militare per l'Italia, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi:
R. – Mi pare
che veramente don Gnocchi possa essere considerato non solo colui che ha raggiunto
i lontani con la carità, ma colui che è un benefattore dell’umanità perché bastava
l’incontro con i giovani che faceva ardere, appassionare quest’uomo, questo prete
e a cui veramente va dato atto di aver proposto anche alla Chiesa di questo tempo
e anche all’esperienza dell’Anno Sacerdotale una proposta concreta, perché chi si
avvicina a Dio si avvicina agli uomini e chi vive accanto agli uomini ci vive bene
e santamente perché è innamorato di Dio.
D. – Don
Carlo Gnocchi era un cappellano militare degli Alpini. Come ha svolto questo suo compito
di servizio nel mondo militare?
R. – L’autorevolezza
del cappellano non dipende dal ruolo, dipende dalla sua fede e dalla santità della
sua vita. La predica della vita di un cappellano è veramente la profezia del coraggio,
della testimonianza; è anche – direi – la predica del buon esempio, come amava ricordare
Don Gnocchi: ancora oggi diventa autorevolezza e – direi – significato della presenza
del cappellano nelle forze armate. (Montaggio a cura di Maria Brigini)