2009-10-24 15:37:31

La Beatificazione di Don Carlo Gnocchi: le riflessioni di mons. Amato e mons. Pelvi


Le ultime ore prima della beatificazione di Don Carlo Gnocchi sono scandite dalla preghiera. A Milano i fedeli potranno pregare davanti al corpo del “papà dei mutilatini” fin da oggi pomeriggio nella chiesa di San Bernardino alle Ossa, lo stesso luogo in cui nel 1956 Don Gnocchi fu deposto poche ore dopo la morte. Alle 21, nella chiesa di Santo Stefano, adiacente a quella di San Bernardino, avrà inizio la veglia di preghiera. Domani mattina, poi, un corteo accompagnerà l’urna con le spoglie del sacerdote in Piazza Duomo per l’abbraccio di oltre 40 mila fedeli che assisteranno alla cerimonia di Beatificazione. Il rito si terrà alla presenza dell’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e rappresentante del Santo Padre. Ripercorriamo la vita di Don Carlo nel servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

Don Carlo Gnocchi è nato a San Colombano al Lambro il 25 ottobre del 1902. L’infanzia è segnata dalla morte del padre e dei due fratelli maggiori. Nel 1925 viene ordinato sacerdote. Per se stesso e gli altri indica la via maestra della santità: nel 1934, rivolgendosi ai giovani del suo Oratorio, afferma che “nulla è più santificante e salvifico della santità” “che irradia tacitamente fede e bontà”. Nel ruolo di educatore è sempre animato da entusiasmo ed ottimismo: nel libro “Educazione del cuore” del 1937 scrive che “bisogna far sentire ai giovani che i buoni non sono pochi, che la virtù esiste ancora”. Confida sempre nella forza dell’amore, che permette all’uomo di “evadere dalla clausura dell’io”. Nel 1940 l’Italia entra in guerra e molti giovani studenti vengono chiamati al fronte. Don Carlo si arruola come cappellano volontario e parte per il fronte greco albanese. Nel 1942 riparte per il fronte, questa volta in Russia. Anche nel gelido della steppa russa il suo cuore arde di carità e amore evangelico: in un soldato morente scorge “i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore”. Durante la drammatica ritirata del contingente italiano, don Carlo viene trovato stremato ai margini della pista dove passavano i soldati. È proprio in questa tragica esperienza che matura in lui l’idea di realizzare una grande opera di carità. A partire dal 1945 comincia a prendere forma il suo progetto di aiuto ai sofferenti. Nel 1949 l’Opera di don Gnocchi ottiene un primo riconoscimento ufficiale: la “Federazione Pro Infanzia Mutilata”, da lui fondata l’anno prima per meglio coordinare gli interventi assistenziali nei confronti delle piccole vittime della guerra, viene riconosciuta ufficialmente dalla Repubblica italiana. La sua metodologia riabilitativa trova poi realizzazione concreta nel Centro Santa Maria Nascente di Milano, del quale assiste alla posa della prima pietra nel settembre 1955. Malato da tempo, don Carlo si spegne a Milano il 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto è la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti confermando ancora una volta il suo totale affidamento alla carità e all’amore evangelico. La testimonianza di don Carlo Gnocchi ci ricorda che tutti devono tendere verso Dio, sforzandosi di essere – come ha detto lo stesso sacerdote lombardo - “cristiani attivi, ottimisti, sereni, concreti e profondamente umani, che guardano al mondo non più come ad un nemico da abbattere o da fuggire, ma come ad un prodigo (il figliol prodigo del Vangelo) da conquistare e rinnovare con l’amore”.

Sulla figura di don Carlo Gnocchi, Roberto Piermarini ha intervistato il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, mons. Angelo Amato:RealAudioMP3

R. - La vocazione sacerdotale e un mistero di grazia. E’ uno scambio meraviglioso tra Dio e un uomo. L’uomo dona a Cristo la sua umanità, affinché il Signore se ne possa servire come strumento di salvezza, quasi facendo di quest’uomo un altro se stesso. La vocazione, la sequela di Gesù, trovò nel cuore del tredicenne Carlo Gnocchi una tale risonanza spirituale, da spingerlo a rinunciare a tutto per Cristo, nella certezza che per questa strada la sua personalità si sarebbe pienamente realizzata. Questa è la chiave della sua figura sacerdotale. Don Gnocchi era un sacerdote tutto di Cristo, entusiasta della sua vocazione e della sua vita donata al Signore.

 
D. – Dove nasce il suo molteplice apostolato e la sua dedizione assoluta ad aiutare il prossimo?

 
R. - Proprio nel dono totale che egli fece di sé a Gesù. Già nei suoi primi impegni nelle parrocchie della diocesi di Milano egli fu incaricato di seguire i fanciulli, i ragazzi e i giovani in quella realtà originale che è l’ “Oratorio”, invenzione provvidenziale dell’apostolato giovanile cattolico. Qui don Carlo espresse al meglio le sue capacita educative, proponendo ai giovani senza incertezze una meta spirituale di alto profilo. Al pari del grande educatore san Giovanni Bosco, don Carlo era infatti convinto che la gioventù «è fatta non per il piacere ma per l’eroismo»; che «la gioventù deve volare per non strisciare» ; e che per questo occorre «battere al cuore dei giovani con fermo coraggio».

 
D. – Quale fu il suo atteggiamento durante il periodo fascista?

 
R. - Con coraggio e prudenza, allo stesso tempo. Don Carlo era convinto di non dover lasciare al fascismo il controllo e l’azione educativa delle giovani generazioni. Come cappellano di gruppi giovanili, con enorme rischio, egli si attenne sempre alle direttive degli arcivescovi milanesi, soprattutto del beato cardinale Ildefonso Schuster. che fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. Questa sua disponibilità educativa ed apostolica così fu da don Carlo stesso descritta in una lettera indirizzata proprio al suo santo Arcivescovo: «La presenza continua del sacerdote in mezzo a quei giovani non solo impedisce eccessi, ma dà un tono di moderazione a tutto l’ambiente e produce anche frutti positivi di bene».

D. – In questo periodo oltre all'Oratorio, Don Gnocchi ebbe anche altri incarichi?

 
R. - Questo suo atteggiamento di educatore cristiano Don Carlo lo continuò anche quando fu direttore spirituale presso il Gonzaga, la prestigiosa scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Anche a questi giovani egli trasmise entusiasmo, passione per il Vangelo, desiderio di santità. Da queste sue esperienze educative nacquero libri che ebbero grande diffusione: Andate e insegnate (1934), Educazione del cuore (1937), I giovani del nostro tempo e la direzione spirituale (1940), ai quali in seguito si aggiunsero Restaurazione della persona umana (1946) e Pedagogia del dolore innocente, che fu pubblicato pochi giorni dopo la sua morte (1956), quasi suo testamento spirituale. In queste sue opere Don Carlo richiamava costantemente il primato della santità, ripetendo spesso: «Nulla è più santificante e salvifico della santità. Credetelo!». Una santità che si realizzava nell’educazione di un cuore, capace di amare, nel matrimonio, il coniuge e i figli. Per Don Gnocchi l’amore era la forza più benefica del mondo, perche Dio stesso è amore: «Amare vuole dire donarsi, dimenticarsi, sacrificarsi».

 
D. - Come visse Don Gnocchi il periodo della seconda guerra mondiale?

R. - Animato da questo zelo incontenibile ritenne suo dovere di educatore accompagnare i suoi giovani nella terribile esperienza della guerra, per essere loro vicino nei momenti di dolore, di paura, di smarrimento, di morte. Fu l’angelo consolatore dei valorosi alpini italiani durante la tragica ritirata di Russia, quando l’esercito italiano fu decimato. Fu allora che sorse il desiderio di fondare opere di carità per lenire il dolore innocente.

 
D. - Don Gnocchi fu anche arrestato dalle SS…

 
R. - Fu arrestato dalle SS il 17 ottobre 1944. Impegnato nella Resistenza, egli aiutava gli ebrei e i perseguitati politici a rifugiarsi in Svizzera. Fu liberato per interessamento del Cardinale Schuster.

 
D. - Quando prese vita il suo progetto di aiuto all'infanzia mutilata?

R. - L’8 dicembre 1945 una giovane madre disperata gli affidò il suo piccolo Paolo, orribilmente mutilato da un residuo bellico. Da quel momento Don Carlo spese tutte le sue energie per raccogliere e assistere le piccole e innocenti vittime della guerra. L’ultimo decennio della sua vita fu una vera epopea di carità, mediante la fondazione oggi chiamata Fondazione don Carlo Gnocchi. Si spense il 28 febbraio 1956 a poco più di 53 anni. In via del tutto eccezionale, i funerali si svolsero nel Duomo di Milano il 1 marzo 1956. Salutando il sacerdote defunto, un piccolo mutilatino disse tra la commozione generale: «Prima ti dicevo: Ciao Don Carlo. Ora ti dico: Ciao, San Carlo».

D. - Cosa dice all’uomo di oggi Don Carlo Gnocchi?

 
R. - Ai fedeli ripropone la meta di ogni cristiano: la propria santificazione. Agli sposi ricorda la gioia dell'amore vicendevole e l’impegno dell’educazione cristiana dei propri figli. Ai sacerdoti, in questo benedetto Anno Sacerdotale, ripete che il sacerdote deve continuamente specchiarsi in Cristo Gesù, esserne l'immagine e la voce, come seminatore di gioia e di speranza. Il gesto supremo della sua carità fu il dono delle sue cornee, affinché due piccoli potessero tornare a vedere. Fu il primo trapianto di cornee in Italia, un gesto che commosse il mondo. Ma a Don Carlo premeva soprattutto un altro trapianto, quello spirituale del cuore, in modo da cambiare il nostro cuore di pietra in cuore di carne, come il cuore misericordioso di Gesù.

La carità e l’amore per Dio sono i tratti distintivi di Don Carlo Gnocchi. Il suo esempio è per la Chiesa una proposta concreta. E’ quanto sottolinea, al microfono di Luca Collodi, l’ordinario militare per l'Italia, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi:RealAudioMP3

R. – Mi pare che veramente don Gnocchi possa essere considerato non solo colui che ha raggiunto i lontani con la carità, ma colui che è un benefattore dell’umanità perché bastava l’incontro con i giovani che faceva ardere, appassionare quest’uomo, questo prete e a cui veramente va dato atto di aver proposto anche alla Chiesa di questo tempo e anche all’esperienza dell’Anno Sacerdotale una proposta concreta, perché chi si avvicina a Dio si avvicina agli uomini e chi vive accanto agli uomini ci vive bene e santamente perché è innamorato di Dio.

 
D. – Don Carlo Gnocchi era un cappellano militare degli Alpini. Come ha svolto questo suo compito di servizio nel mondo militare?

 
R. – L’autorevolezza del cappellano non dipende dal ruolo, dipende dalla sua fede e dalla santità della sua vita. La predica della vita di un cappellano è veramente la profezia del coraggio, della testimonianza; è anche – direi – la predica del buon esempio, come amava ricordare Don Gnocchi: ancora oggi diventa autorevolezza e – direi – significato della presenza del cappellano nelle forze armate. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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