2009-10-24 16:06:55

Giornata dell'Onu. Mons. Migliore: ripartire dal disarmo nucleare


“Crisi multiple – alimentare, petrolifera, finanziaria, influenzale – stanno colpendo contemporaneamente, ognuna di queste crisi dimostra una verità del 21.mo secolo: condividiamo un pianeta, una casa”. E’ un passaggio del messaggio del segretario generale dell’Onu per l’odierna Giornata delle Nazioni Unite. Ban Ki-moon ricorda i compiti del Palazzo di Vetro e sottolinea come si stia dando vita ad un nuovo multilateralismo con l’obiettivo di giungere a risultati concreti, “specialmente per i più bisognosi”. E’ ancora attuale oggi parlare di unità delle nazioni di fronte alle tante crisi non ancora risolte in molte aree del pianeta? Benedetta Capelli lo ha chiesto a mons. Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu:RealAudioMP3

R. – E’ vero che le crisi si moltiplicano a cascata ma è anche vero che sono proprio le crisi a riproporre l’urgenza dell’unità delle nazioni sia per difetto che in positivo. Ad esempio, giustamente ci inquietiamo davanti alla smania di Paesi che vogliono dotarsi dell’arma nucleare e si minacciano sanzioni e isolamento politico ma senza grandi risultati. Ebbene questa inconcludenza fa risaltare una verità elementare: nessuno riuscirà mai a contenere la proliferazione nucleare se i cinque Paesi che nel 1968 si sono arrogati il diritto di possedere legalmente il nucleare a scopi militari non adempiono ora alla promessa fatta ormai nove anni fa di iniziare negoziati seri e in buona fede per concertare per primi il loro disarmo nucleare. In positivo invece possiamo citare la buona coordinazione degli sforzi per contenere i primi episodi dell’influenza A e per prevenire una vera e propria pandemia.

 
D. - Sono molti e importanti i campi di intervento dell’Onu e tanti se ne aggiungono: solidarietà, mantenimento della pace, sanità, povertà, ma ultimamente anche salvaguardia del clima e crisi finanziaria. L’Onu è pronta ad affrontare una mole così vasta di temi?

 
R. – Lo è se abbiamo ben chiaro che l’Onu non è tenuta a fare quei miracoli per i quali non è attrezzata. Voglio dire: quel che si chiede all’Onu è di provvedere tempestivamente a riconoscere le sfide, a coinvolgere tutti i Paesi del mondo nel dibattito, delle proposte concertate, delle leggi quadro che poi dovranno essere adottate. Questo l’Onu lo fa seppure a volte con intollerabili ritardi. Prendiamo il caso della crisi finanziaria: è chiaro che non si può chiedere a 192 Paesi di mettersi insieme e varare nei dettagli nuove normative o rinnovati meccanismi di controllo e di azione. Questo spetta piuttosto alle istituzioni specializzate, alle organizzazioni regionali e ai poteri locali che hanno meccanismi decisionali molto più agili. Però questi che agiscono in una cerchia più ristretta saranno efficaci solo nella misura in cui prendono in considerazione il risultato del dibattito e delle proposte offerte dall’Onu con la partecipazione di tutti i Paesi del mondo anche di quelli dotati di minor peso politico, demografico ed economico.

 
D. – Spesso gli interventi dell’Onu, soprattutto in campo umanitario, non riescono a superare l’ostacolo della sovranità dei Paesi nei quali intervenire, che vedono poi messa in pericolo questa prerogativa dalla presenza di operatori stranieri. Oltre al mantenimento della pace mondiale, scopo per cui l’Onu è nata, occorrerebbe dare priorità alla salvaguardia dei diritti umani?

 
R. – Certamente. Ma in tutto questo c’è un circolo vizioso: cioè, la chiusura all’intervento umanitario dall’esterno può essere determinata da tante ragioni ma spesso la vera ragione è che quel Paese ha dei problemi con i diritti umani, intende i diritti umani a modo proprio, è soggetto al potere politico del momento. Per questo, l’Onu deve puntare con determinazione su un lavoro preventivo di formazione di un senso generalizzato della sovranità responsabile: responsabile verso i cittadini prima ancora che verso il potere. Nei casi estremi, poi, più che a misura di forza o di sanzione, che difficilmente piegano i poteri politici, occorre coalizzare le nazioni amiche - quelle nazioni che mantengono interessi di vario genere nel Paese in questione - affinché usino la persuasione e la pressione politica ed economica.

 
D. – Perché la comunità internazionale non riesce ad affrontare ad una voce sola la crisi mediorientale e quelle ad essa collegate? Che cosa manca alle Nazioni Unite per esprimere un piano di pace globalmente condiviso?

 
R. – In 60 anni l’Onu ha prodotto ben 760 risoluzioni sulla questione israelo-palestinese e nessuna è andata a segno. Poi, piani di pace ce ne sono in abbondanza: gli accordi di Oslo, gli accordi di Camp David, Road Map, i lavori del Quartetto, etc. Ma la crisi dei rapporti tra israeliani e palestinesi, che ormai è cronica purtroppo, potrà essere risolta quando le parti interessate e in particolare i Paesi allineati all’una o all’altra parte esprimeranno una volontà politica in tal senso: la sola su cui può puntare l’Onu per esprimere un piano di pace che funzioni.







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