Una rivoluzione verde per l'Africa al servizio dello sviluppo e della pace: l'appello
di scienziati e ricercatori di tutto il mondo riuniti all'Ateneo Pontificio "Regina
Apostolorum"
“L’Africa è un continente colpevolmente dimenticato” e per la Chiesa è una grossa
sfida pastorale: è quanto sottolineato da mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di
Trieste e già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenuto
ieri a Roma al convegno dal titolo “Per una rivoluzione verde in Africa. Lo sviluppo
è il nuovo nome della Pace”, organizzato dall’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”.
Nell’ambito dell’evento, un gruppo di scienziati e agricoltori africani ha inviato
una lettera a Benedetto XVI chiedendo che non sia negato lo sviluppo all’Africa. Il
convegno è stato seguito per noi da Cecilia Seppia:
L’Africa,
il continente con il più alto tasso di mortalità per fame e malattie, in cui il sottosviluppo
miete ogni giorno migliaia di vittime potrebbe presto diventare il nuovo granaio del
pianeta e paradossalmente il punto di svolta della crisi alimentare mondiale. Lo sostengono
ricercatori di tutto il mondo, che vedono nell’utilizzo delle nuove tecnologie in
campo agricolo il punto di svolta per sconfiggere la povertà. Per far questo servono
innanzitutto investimenti adeguati nell’agricoltura, principale attività di sostentamento,
come afferma Charles Riemenschneider, direttore del centro investimenti
Fao.
“I think the critical public investments...
Io penso
che gli investimenti pubblici in Africa siano davvero cruciali per lo sviluppo e riguardino
in primis il miglioramento della ricerca nell’agricoltura, ma anche il miglioramento
delle regole di mercato, del potere singolo di ogni Stato. Altri investimenti devono
essere fatti per migliorare l’irrigazione e la capacità umana di lavorare la terra.
Uno dei paradossi dell’Africa è che le persone che muoiono di fame sono principalmente
gli agricoltori. Se sono affamati non riescono a lavorare. Dunque dobbiamo assicurarci
che abbiamo un nutrimento adeguato, così da aumentare la loro capacità di produzione.
Servono poi investimenti per la formazione dei coltivatori, perché imparino ad usare
le nuove tecnologie”.
300 milioni di africani dipendono dalla
coltivazione di mais, ma siccità e arretratezza minacciano costantemente il futuro
del continente. Per fronteggiare questi problemi bisogna incrementare la produttività
attraverso la meccanizzazione, l’utilizzo di fertilizzanti, come gli antiparassitari
e l’uso diffuso di sementi selezionate, così anche di Ogm. Lo sottolinea il prof.
Gonzalo Miranda, ordinario di bioetica all’ateneo Regina apostolorum.
“Noi
vogliamo aiutare a riflettere sulla possibilità di fare un salto di qualità e di creare
una nuova rivoluzione verde che però oggi può contare su nuove biotecnologie che potenziano
la possibilità di sviluppo. E ci riferiamo concretamente agli organismi geneticamente
modificati, per cui, in una situazione nella quale l’acqua manca e c’è una enorme
siccità, possono loro produrre - lo stanno già facendo - un mais che sia resistente,
cioè che non abbia bisogno di tanta acqua. Noi abbiamo sottolineato l’importanza,
la convenienza di usare le biotecnologie, ma è chiaro che bisogna ricordare che non
è l’unica strada da intraprendere. Se non c’è un minimo di pace, un minimo di concordia
tra le nazioni... C’è sempre bisogno di strutture e di infrastrutture, c’è bisogno
di educazione, dunque di scuole. Ci sono tanti bisogni”.
Dunque uno
sviluppo sostenibile e responsabile che metta al centro la persona umana, rendendola
autonoma e capace di custodire e coltivare la terra.