L’improvvisa interruzione del dialogo in Honduras, comunicata oggi dal presidente
deposto, Manuel Zelaya, al governo de facto di Roberto Micheletti, aggrava le tensioni
politiche nel Paese. Lo scontro riguarda l’eventuale reinsediamento di Zelaya alla
guida del Paese prima delle elezioni presidenziali del novembre prossimo, alle quali
né Zelaya né Micheletti sono candidati. I favoriti sono Porfirio Lobo del Partito
Nazionale, che si opponeva a Zelaya, accreditato dai sondaggi del 42% dei consensi,
ed Elvin Santos, del Partito Liberale, già vicepresidente di Zelaya, al quale potrebbero
andare il 37% dei voti. Su questi ultimi sviluppi Giancarlo La Vella ha raccolto
l’analisi di Luis Badilla Morales, esperto della nostra emittente di America
Latina:
R. – Secondo
me la situazione diventa ancora molto più delicata, perché in definitiva sembra che
l’ex presidente Zelaya, in sostanza, chieda che non si facciano le elezioni presidenziali,
che sono state da lui stesso fissate per il 29 novembre. E quindi chiede che venga
preventivamente dichiarata questa tornata elettorale illegale ed incostituzionale.
Ciò naturalmente non potrà essere accettato da parte né del governo ad interim di
Micheletti, né da parte dei sei candidati che, nonostante la sospensione delle garanzie
costituzionali, hanno continuato la campagna elettorale come se la situazione fosse
normale. D. – Si può prevedere un ritorno delle proteste di
piazza? R. – Penso di sì perché ci sono già dichiarazioni in
questo senso. I sei candidati, compreso il candidato del partito liberale, che è il
partito del presidente Zelaya, hanno detto che l’eventuale sospensione del voto è
da escludere ed invitano la gente alla protesta. Quindi, i prossimi giorni potranno
essere molto delicati per questo Paese, che si trova già in una situazione estremamente
difficile. D. – Dopo gli interventi dell’inizio di questa crisi,
la comunità internazionale sembra ora un po’ assente. Sarebbe auspicabile invece un
intervento? R. – Da una parte, la comunità internazionale, o
settori della comunità internazionale, si sono allontanati dalle posizioni intransigenti
di Zelaya e, dall’altra, verbalmente continuano ad esprimere solidarietà all’ex governante.
Succede allora che si è creato una sorta di polo di quelli che vorrebbero il ripristino
dell’ordine costituzionale. Ma se si va a guardare all’interno dell’Honduras, la gente
vuole le elezioni presidenziali. Dare ascolto a Zelaya, nel senso di dire che queste
elezioni presidenziali non si faranno, che cosa significa? Significa andare avanti
con questo negoziato altri cinque, sei, sette mesi, per non arrivare ad alcuna soluzione.
Nel frattempo, il Paese sta crollando economicamente, politicamente e internazionalmente. D.
– In questa situazione, la Chiesa locale potrebbe avere un ruolo teso a favorire la
distensione? R. – Già lo ha avuto e lo sta avendo, perché per
la ripresa del dialogo nelle ultime tre settimane, il contributo della Chiesa è stato
fondamentale. Il problema è che la Chiesa non può fare più di tanto: interviene quando
viene richiesta da tutte le parti. La Chiesa continua a battersi per la ricerca di
una soluzione politica. La soluzione politica sembrerebbe essere proprio quella delle
elezioni presidenziali regolari fissate molti mesi fa dallo stesso Zelaya.