Messaggio finale del Sinodo: "Africa, alzati e cammina!"
Un lungo applauso: così, stamani, il Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha accolto la
presentazione del Messaggio finale dell’Assemblea. Alla presenza di Benedetto XVI,
la 18.ma Congregazione generale ha visto la lettura del documento in quattro lingue:
inglese, portoghese, francese e italiano. Il servizio di Isabella Piro:
“Africa,
alzati e cammina!”. E’ forte l’esortazione lanciata dal Messaggio finale del Sinodo:
non c’è tempo da perdere, dicono i Padri sinodali, l’Africa deve cambiare e non si
deve abbandonare alla disperazione. Il documento è suddiviso
in sette parti, più un’introduzione ed una conclusione. Numerosi gli appelli in esso
contenuti: ai sacerdoti, perché siano fedeli nel celibato, nella castità e nel distacco
dai beni materiali. Ai fedeli laici, “ambasciatori di Dio”, perché permettano alla
fede cristiana di impregnare tutte le dimensioni della loro vita, poiché non ci sono
scuse per chi resta ignorante in materia. In quest’ambito, il Messaggio raccomanda
la formazione permanente dei laici e l’istituzione di Università Cattoliche. Un
altro appello è rivolto al mondo politico: l’Africa ha bisogno di politici santi che
combattano la corruzione e lavorino al bene comune, si legge nel testo. Coloro che
non sono formati alla fede, si convertano o abbandonino la scena pubblica per non
danneggiare la popolazione e la credibilità della Chiesa cattolica. Il
Messaggio chiama poi in causa le famiglie cattoliche, mettendole in guardia dalle
ideologie così dette “moderne” e chiedendo ai governi di sostenerle nella lotta alla
povertà, perché una nazione che distrugge la famiglia agisce contro i propri interessi.
Quindi, i Padri Sinodali guardano alle donne e agli uomini
cattolici: le prime vengono definite “la spina dorsale” delle Chiese locali; per loro
si auspica una promozione maggiore a livello sociale e vengono invitate a non divenire
ostaggio di ideologie straniere “tossiche” sul genere e la sessualità. Al contempo,
il Messaggio chiama gli uomini cattolici ad essere mariti e padri responsabili, a
difendere la vita sin dal concepimento e ad educare i figli. Poi,
l’appello ai giovani e ai bambini, presente e futuro dell’Africa, in cui il 60% della
popolazione ha meno di 25 anni. Per entrambi, si raccomanda un apostolato attento,
che li tenga lontani dalle sètte e dalle violenze. E ancora,
il Messaggio si rivolge alla comunità internazionale, perché tratti l’Africa con rispetto
e dignità, cambi le regole del gioco economico e del debito estero africano, fermi
lo sfruttamento delle multinazionali, che distrugge le tante ricorse naturali dell’Africa,
non nasconda, dietro gli aiuti, altre intenzioni svantaggiose per gli africani. Quindi,
il Messaggio finale si sofferma sul problema dell’Aids: la Chiesa non è seconda a
nessuno nella lotta contro il virus Hiv e nella cura dei malati, si legge. In accordo
con Benedetto XVI, definito “amico autentico dell’Africa e degli africani”, i Padri
sinodali ribadiscono che la questione non sarà risolta con la distribuzione di profilattici,
e sottolineano il successo ottenuto invece dalla castità e dalla fedeltà. Poi,
il documento ribadisce l’importanza del dialogo con le religioni tradizionali, in
ambito ecumenico ed interreligioso, in particolare con i musulmani: il dialogo è possibile,
si legge nel Messaggio, ma è importante dire no al fanatismo, assicurare il rispetto
reciproco e sottolineare che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale
e include la libertà di condividere e proporre, non di imporre, la propria fede. Tra
gli altri temi trattati dal Messaggio, l’importanza del Sacramento della Riconciliazione
e di programmi diocesani sulla pace, lo stop alla pratica della vendetta, il rafforzamento
dei legami con le antiche Chiese di Etiopia e di Egitto e tra l’Africa e gli altri
continenti, il ringraziamento ai missionari, la necessità di sostenere i migranti
e i rifugiati nel mondo perché l’accoglienza è un dovere.
Infine, l’esortazione a sostenere il Secam (Simposio delle
Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar) che ha compiuto 40 anni di attività,
e a moltiplicare gli sforzi nella comunicazione sociale della Chiesa. Un esempio su
tutti: la potenza della radio. In Africa, quelle cattoliche sono passate da 15 a 163
nel giro di 15 anni, dati da non sottovalutare in un mondo “pieno di contraddizioni
e di crisi profonde”, in cui l’Africa fa notizia solo in caso negativo. Sui
contenuti del Messaggio finale del Sinodo Paolo Ondarza ha intervistato il
presidente della Commissione incaricata di redigere il testo, mons. John Olorunfemi
Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria:
R. – Il punto
centrale è che non possiamo accettare che la situazione in Africa continui così. Tutta
questa storia della povertà, delle malattie, delle guerre deve cambiare. Secondo,
è possibile cambiare! Per cambiare, però, tutti devono darsi da fare e dobbiamo cominciare
da noi stessi, dalla Chiesa, da come gestiamo le nostre diocesi. C’è poi anche la
responsabilità delle guide politiche dei nostri Paesi: non si può dire continuamente
che abbiamo sofferto la schiavitù, che abbiamo sofferto il colonialismo. Sì, ma sono
già passati 50 anni ed è già abbastanza per superare queste cose. Tanti capi di Stato
africani hanno fatto l’esperienza dei partiti unici e dicevano che questo era il modo
africano per reggere un Paese. Ma siamo nel 2009 e adesso abbiamo imparato che questo
non funziona. Vuol dire che dobbiamo accettare il sistema di democrazia multipartitico.
Ci sono dei Paesi dove c’è una democrazia multipartitica soltanto nel nome. Quando
non c’è una democrazia sincera, le cose non si muovono. Soltanto dopo possiamo parlare
anche delle ingerenze esterne. D. – Lei dice che bisogna partire
dall’Africa, cioè da un lavoro interno all’Africa... R. – Gli
inglesi dicono “charity begins at home”, la carità comincia in casa. Questo è un messaggio
indirizzato principalmente all’Africa e a tutti i settori della comunità africana,
sia ecclesiale sia sociopolitica, perché possiamo fare meglio di ciò che stiamo facendo. D.
– E se dovessimo tracciare un bilancio di questo Sinodo sull’Africa... R.
– Forse il bilancio dovrebbe essere tratto da quelli che dovranno studiare il lavoro
che abbiamo fatto. Io personalmente dico che abbiamo lavorato molto e credo che abbiamo
fatto un buon lavoro, ma non spetta a me correggere i miei compiti! Saranno altri
a farlo. D. – Sono emerse delle novità, rispetto anche al primo
Sinodo sull’Africa? R. – Sì, credo l’aspetto, per esempio, del
dialogo con l’islam. Siamo stati più incisivi, specialmente nei confronti di quei
Paesi dove la libertà religiosa non è rispettata e dove si accetta questa situazione
come normale. Adesso abbiamo detto che non è giusto e che si deve cambiare. Non sappiamo
se cambieranno, ma so che quando cominceremo a guardare quello che succede, specialmente
nei Paesi del Maghreb, anche nello stesso Egitto, si saprà se veramente hanno ascoltato
il nostro messaggio. In seguito, sollecitato dai giornalisti nella
Sala Stampa della Santa Sede, mons. John Onaiyekan, presidente della Commissione per
il Messaggio, ha espresso apprezzamento per la recente Costituzione Apostolica per
gli anglicani che desiderano entrare nella Chiesa cattolica, approvata da Benedetto
XVI. Dal suo canto, mons. Sarraf, vescovo del Cairo dei Caldei, ha sottolineato come
nelle Chiese Orientali, ad esempio in quella egiziana, si registri una tendenza crescente
al celibato sacerdotale. Infine, una citazione speciale è andata a Julius Nyerere,
presidente cattolico della Tanzania, noto per la sua integrità e morto di leucemia
nel 1999. La sua causa di canonizzazione è già in corso, un atto che i Padri sinodali
definiscono “incoraggiante”.