Attese migliaia di persone a Milano per la Beatificazione di Don Gnocchi, papà dei
mutilatini
Sono attese oltre 40mila persone domenica a Milano, in Piazza Duomo, per la Beatificazione
di Don Carlo Gnocchi, il “papà dei mutilatini”. In rappresentanza del Papa, sarà presente
al rito l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Don Gnocchi maturò la sua esperienza sul fronte bellico, come cappellano degli Alpini,
durante il secondo conflitto mondiale che lo spinse ad accogliere i primi orfani di
guerra e i bambini mutilati. Di questo sacerdote ci parla mons. Ennio Apeciti,
postulatore della diocesi di Milano per la causa di beatificazione di Don Carlo. L'intervista
è di Fabio Colagrande:
R. – Questo
prete è stato un prete entusiasta, in un’epoca in cui tanti erano i drammi, le sofferenze
e le preoccupazioni, dove era forse più facile scoraggiarsi o lamentarsi. Mi ha sempre
colpito questo suo entusiasmo, questa sua fiducia nel tempo, fiducia nel mondo. Lui
diceva: “Se dovessi rinascere mille volte e dovessi scegliere il secolo in cui nascere,
senza esitazione sceglierei il ‘900, perché è il secolo delle grandi dimensioni, dei
grandi dibattiti, ma anche del grande coraggio”. Questo credo serva, tanto più nell’epoca
in cui è vissuto, dopo le grandi tragedie della guerra, dopo il tentativo di prevalere
del fascismo: un uomo che ha vissuto profondamente quello che diceva. E’ stata una
di quelle persone che dicono ciò che vivono e vivono secondo la profondità della loro
fede. D. – Nel suo lavoro di raccolta, di studio, di ascolto,
ci sono degli aspetti che le sono rimasti particolarmente impressi? R.
– La commozione delle persone. Ho ancora in mente più volte, i itestimoni sia del
processo sulla sua vita e le virtù, sia quelli sul miracolo di Sperandio Aldeni -
morto nel 2007 - che ancora si commuoveva pensando a come aveva chiesto, nel momento
in cui stava per arrivare la scarica elettrica mortale di 15mila volt e che invece
non fu mortale: “Don Carlo, ricordati dei miei bambini”. Lui si salvò e ancora ne
piangeva. E una signora, che alla domanda: “Ma perché ritiene che sia santo Don Gnocchi?”
mi rispose: “Andai una volta nelle sue case e vidi i bambini che giocavano a pallone.
Era un pallone strano, perché c’erano dei campanelli, dei pezzi di metallo attaccati.
Mi incuriosii e scoprii che erano ciechi. Non me ne ero accorta, perché ridevano e
correvano come tutti i bambini di questo mondo, felici di inseguire il pallone. Don
Carlo mi spiegò: ‘Vede, sono ciechi, ma anche loro hanno diritto di gioire’. Allora
capii - disse la signora - che avevo incontrato un santo, che non si preoccupava semplicemente
di accogliere, custodire, ma di riabilitare, rilanciare, far gioire un giovane.” D.
– La Fondazione don Carlo Gnocchi oggi è una realtà importante davvero estesa, ma
ha allargato anche l’ambito di intervento, rispetto agli intenti del suo fondatore? R.
– Ha semplicemente percorso il cammino di Don Carlo. Don Carlo non partì con un progetto
preciso. Questa è la cosa più affascinante anche del processo. Si trovò un bambino
mutilato in braccio, lasciato dalla mamma, Paolo Balducci, l’8 dicembre del ’45, e
capì che doveva seguire questi ragazzi. Incontrò per strada un bambino orfano e capì
che non bastava andare a trovare i parenti dei soldati morti in guerra. E così iniziò.
Poi fece l’esperienza dei poliomielitici: poteva e doveva servire loro, perché erano
questi quelli che più avevano bisogno di non rassegnarsi ed essere riabilitati. La
fondazione di Don Carlo Gnocchi oggi continua su questo cammino che ha un solo ideale:
servire i fratelli, questo grande ideale di carità coniugando la scienza, che è un
dono di Dio, con la carità che è il volto stesso di Dio.(Montaggio a cura
di Maria Brigini)