Visita ad Limina Apostolorum. Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II a un gruppo
di Vescovi dello Zaire (oggi RDC)
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AD UN GRUPPO DI VESCOVI DELLO ZAIRE (OGGI RDC) IN
VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Venerdì, 22 novembre 1996
Caro Signor
Cardinale, Cari Fratelli nell’Episcopato,
1. È per me una grande gioia
accogliervi in questa casa, voi che siete i Pastori della Chiesa in tre provincie
ecclesiastiche dello Zaïre. La visita “ad limina”, nel corso della quale voi incontrate
il Vescovo di Roma e i suoi collaboratori, è un’“espressione concreta della cattolicità
della Chiesa, dell’unità e della comunione del collegio dei Vescovi, fondata sul successore
di Pietro e significata dal luogo del martirio dei Principi degli Apostoli” (Giovanni
Paolo II, Pastor bonus, Allegato 1, n. 7). Ho così la lieta opportunità di salutare
con affetto il popolo che vi è stato affidato in ognuna delle vostre Diocesi. Ringrazio
vivamente il Cardinale Frédéric Etsou, Arcivescovo di Kinshasa, per i sentimenti di
comunione che ha voluto esprimermi a nome vostro, ricordando al contempo le vostre
preoccupazioni e le vostre speranze, in un periodo così difficile e talvolta tragico
per le popolazioni e per la Chiesa nella vostra regione. Ricordo qui, con emozione,
Monsignor Christophe Munzihirwa Mwene Ngabo, Arcivescovo di Bukavu, e i quattro religiosi
Maristi che, recentemente, hanno offerto il sacrificio della loro vita in nome di
Cristo e al servizio dei loro fratelli.
2. Il dinamismo della Chiesa che è
nello Zaïre si è manifestato in modo particolare durante la preparazione e la celebrazione
dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Nel corso di questo grande
evento ecclesiale, ho avuto la gioia di beatificare Isidore Bakanja, un giovane laico
della vostra nazione, testimone eroico di Cristo che operò con generosità per trasmettere
il Vangelo ai suoi fratelli. Nel recarmi lo scorso anno in diversi Paesi del vostro
continente, ho voluto che l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa potesse divenire
per tutta la Chiesa in Africa uno strumento di riflessione e di lavoro per conferire
un nuovo slancio alla sua missione evangelizzatrice all’alba del terzo millennio.
Che questo documento sia per voi un incoraggiamento e un sostegno in mezzo alle difficoltà
incontrate nel vostro compito di annunciare il Vangelo di Cristo! Che esso sproni
i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici e soprattutto i catechisti a rafforzare
la loro fedeltà al Vangelo e a esserne testimoni autentici tra i loro fratelli, divenendo
ardenti costruttori della Chiesa Famiglia di Dio!
3. I Vescovi, sull’esempio
degli Apostoli, “insieme col Sommo Pontefice e sotto la sua autorità, hanno la missione
di perpetuare l’opera di Cristo, pastore eterno” (Christus Dominus, 2). Come dice
ancora il Concilio, essi svolgono questo compito individualmente nei riguardi di quella
parte del gregge che è stata loro affidata (cf. Ivi, 3). “Come san Pietro e gli altri
Apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico,
allo stesso modo il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori
degli Apostoli, sono fra loro uniti” (Lumen gentium, 22). Così, dunque, i Vescovi
sono impegnati insieme nella missione della Chiesa. Per essere i servitori di tutto
il popolo che è stato affidato loro, la coesione e la comunione affettiva ed effettiva
sono particolarmente importanti fra tutti i membri del corpo episcopale. Sono ancora
più indispensabili quando l’isolamento e le lunghe distanze da percorrere rendono
più difficile la necessaria collaborazione pastorale. “Più è salda la comunione dei
Vescovi tra loro, più risulta arricchita la comunione della Chiesa stessa nel suo
insieme” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 15). “La Chiesa non può crescere
se non rafforzando la comunione tra i suoi membri, a cominciare dai suoi Pastori”
(Ivi, 17).
A capo del suo popolo, il Vescovo è il servitore dell’unità. La
testimonianza dell’unità e della fraternità vissute effettivamente contribuisce all’edificazione
della Chiesa Famiglia di Dio, così come l’ha proposta il Sinodo. La Chiesa che ha
voluto Cristo è una comunità aperta a tutti, senza distinzioni e senza opposizione
a causa della razza, dell’etnia o della cultura. I discepoli di Cristo non possono
accettare le divisioni e le esclusioni in seno alla loro comunità. Essi devono essere
instancabili artefici di unità fra loro e fra tutti gli uomini per rispondere alla
preghiera del Signore Gesù: “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17, 21). In questi
tempi così difficili che attraversa la vostra regione, vi incoraggio vivamente a costituire
con tutti i fedeli comunità unite e fraterne, a promuovere con tutti e fra tutti un
atteggiamento di accoglienza e di dialogo. Vi invito in particolare a una collaborazione
fiduciosa nel servizio dell’unità con i vostri sacerdoti, dei quali il Concilio dice
che formano un solo presbiterio e una sola famiglia di cui il Vescovo è il padre (cf.
Christus Dominus, 28). Il Vescovo è il buon Pastore a disposizione di tutti, è colui
che s’interessa di ciascuno dei membri del popolo che gli è stato affidato, e che
si preoccupa profondamente per quanti non hanno ancora ricevuto la Buona Novella del
Vangelo.
4. Come lei ha sottolineato, Signor Cardinale, è bello e confortante
veder crescere nelle vostre diocesi il notevole impegno di numerosi laici al servizio
della missione della Chiesa. Nelle parrocchie e nei numerosi movimenti o associazioni,
i cristiani hanno l’opportunità di mettere in pratica le iniziative che la loro fede
suggerisce per un migliore servizio a Dio e ai propri fratelli. Auspico che essi trovino
anche per la loro vita cristiana, in complementarità con altre iniziative, un luogo
di formazione e di approfondimento, oggi tanto necessario.
Incoraggio vivamente
tutti i fedeli ad assumere una rinnovata coscienza delle esigenze della loro vocazione
di battezzati sia nella loro vita personale che nella loro vita ecclesiale e sociale.
Ogni cristiano deve ricordarsi che il suo battesimo è una vita radicalmente nuova
che gli è stata donata da Cristo. “Questa vita nuova nell’originalità radicale del
Vangelo comporta anche delle rotture rispetto ai costumi e alla cultura di qualunque
popolo della terra, poiché il Vangelo non è mai un prodotto interno di un determinato
paese, ma viene sempre "da fuori", viene dall’Alto” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in
Africa, 74). A ogni battezzato spetta armonizzare la propria esistenza quotidiana
con il dono che ha ricevuto da Dio. I sacramenti della Chiesa, in primo luogo l’Eucaristia
e il sacramento della Riconciliazione, alimentano e fortificano la sua vita e la sua
testimonianza evangelica.
L’impegno dei fedeli si esprime in particolare nelle
vostre Diocesi attraverso Comunità ecclesiali vive. Esse sono luoghi privilegiati
per evangelizzare il Popolo di Dio e per portare la Buona Novella a quanti ancora
non la conoscono. Desidero ricordare qui il ruolo eminente svolto dai catechisti e
dai responsabili laici nelle comunità locali. Sono lieto di constatare lo sforzo notevole
da voi compiuto per dare loro una formazione iniziale e permanente di qualità e per
assicurare un sostegno morale e spirituale che permetta loro di progredire nel proprio
cammino di fede. All’interno delle loro comunità, essi devono rendere testimonianza
a Cristo, in modo particolare attraverso una vita cristiana esemplare, in conformità
con il compito che è stato loro affidato.
Anche i laici hanno la grave responsabilità
di partecipare attivamente alla nascita di una società nuova nel proprio Paese, sforzandosi
di ricercare il bene comune e di “vivere l’amore universale di Cristo, che trascende
le barriere della solidarietà naturale dei clan, delle tribù e di altri gruppi d’interesse”
(Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 89). Come discepoli di Cristo, in uno spirito
di servizio ai propri fratelli, essi devono adoperarsi per l’edificazione e per il
progresso della nazione nella giustizia e nella solidarietà, in collaborazione con
tutti gli uomini di buona volontà.
Un ambito esigente della missione dei laici
nell’ordine temporale è quello della politica, intesa come un insieme di attività
al servizio del bene comune. L’Africa, hanno affermato i Padri sinodali, ha bisogno
di responsabili politici - uomini e donne - santi, che amino il proprio popolo fino
alla fine (cf. Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 111). Spetta a loro il compito,
al contempo esaltante e difficile, di mostrare che è possibile praticare le virtù
cristiane e rendere testimonianza della verità e dell’amore di Dio nella gestione
degli affari pubblici. Vi invito a sviluppare le vostre iniziative di sostegno, di
promozione e di educazione dei laici in questo ambito, così vitale e così decisivo
per l’edificazione di uno Stato di diritto e di una società giusta e pacifica.
5.
Da tanti anni la Chiesa nello Zaïre sta compiendo un grande sforzo per inculturare
il Vangelo nelle tradizioni del suo popolo. Rendiamo grazie a Dio per i frutti che
questo lavoro ha già prodotto, in particolare nell’ambito liturgico. Tuttavia, oggi,
mentre alcuni cristiani restano disarmati di fronte alla tentazione di un ritorno
a tradizioni antiche in contraddizione con lo spirito di Cristo, si manifesta con
una nuova urgenza la necessità di evangelizzare sempre più profondamente le mentalità,
i modi di essere, di pensare o di agire. “Come cammino verso una piena evangelizzazione,
l’inculturazione mira a porre l’uomo in condizione di accogliere Gesù Cristo nell’integrità
del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista di una vita
santa mediante l’azione dello Spirito Santo” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa,
62).
6. L’evangelizzazione della famiglia, questa prima cellula della comunità
umana ed ecclesiale, ha un posto importante nella pastorale delle vostre Diocesi.
Mi rallegro del dinamismo di numerose famiglie cristiane che, attraverso la loro vita
esemplare ed impegnata al servizio dei propri fratelli, rendono una testimonianza
eminente al Vangelo di Cristo. Queste famiglie rivelano, agli occhi di tutti, la dignità
dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio, che ha conferito loro diritti inalienabili
e responsabilità proprie. La missione della Chiesa è quella di preservare e di promuovere
i diritti e le responsabilità di ogni persona umana e di ogni famiglia, rifiutando
i costumi e le pratiche che si oppongono loro. È dovere della Chiesa affermare che
il matrimonio presuppone un amore e un impegno indissolubili, che trova in Gesù Cristo
il suo fondamento e la sua forza, e aiutare gli sposi a crescere continuamente nella
comunione attraverso la fedeltà quotidiana al dono reciproco, totale e unico, che
il matrimonio comporta.
Vi incoraggio a proseguire l’opera di riflessione
e di formazione che avete intrapreso presso i giovani per prepararli al matrimonio
cristiano o presso le coppie per aiutarle a comprendere meglio e a vivere meglio i
propri impegni. La sollecitudine pastorale della Chiesa si deve rivolgere all’insieme
delle famiglie, e in particolare a quelle che si trovano in situazioni difficili.
“Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza,
di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il
suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che
il Creatore ha voluto fin dal "principio" e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia
redentrice” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 65). Desidero ricordare qui
le persone, religiose e laiche, che, con generosità, si sono impegnate nel sostegno
delle famiglie colpite dalla malattia o dalla violenza, delle famiglie divise o che
si sono dovute rifugiare lontano dalle loro dimore.
7. Cari Fratelli nell’Episcopato,
avrò occasione di continuare questa riflessione con i vostri confratelli delle altre
tre provincie ecclesiastiche del vostro Paese.
Affronterò in particolare le
questioni relative alla vita sacerdotale e religiosa. Tuttavia, fin da ora, desidero
esprimere il mio incoraggiamento e il mio sostegno fraterno a tutti i Vescovi dello
Zaïre, nella loro difficile missione di custodire il popolo che è stato affidato loro
nell’unità e nell’amore che caratterizzano i discepoli di Cristo.
Mentre nella
regione del Kivu si stanno verificando eventi drammatici, io sono vicino, con il pensiero
e con la preghiera, a tutto il popolo zairese, soprattutto a quanti soffrono e a quanti
vivono in ristrettezze, così come alle persone dei Paesi vicini che hanno ricevuto
ospitalità nella vostra terra. Ancora una volta, faccio appello, con forza, a un ritorno
rapido alla pace. Niente si risolve con la violenza, che, al contrario, fa aumentare
la sofferenza e la miseria dei più poveri. Urge porre fine a questa tragedia, alle
“cacce all’uomo” che nella capitale e altrove disonorano i loro istigatori. Che scompaia
dal cuore di ciascuno ogni traccia di odio, di rancore e di rifiuto del proprio fratello!
Che tutte le parti in causa in questo dramma abbiano il coraggio del dialogo per la
ricerca sincera delle vie dell’autentica riconciliazione nella giustizia e nel rispetto
della persona umana! Esorto anche la comunità internazionale a intensificare gli sforzi
per mettere in atto una reale solidarietà al fine di soccorrere le popolazioni di
questa regione, che, private di viveri e di assistenza sanitaria, versano in una condizione
tragica. Ciò è urgente e necessario. Infine, invito a pregare per tutte le vittime
di questo dramma del Kivu e per tutte le famiglie in lutto o che vivono nell’angoscia
del domani.
Vi affido all’intercessione materna della Vergine Maria, a quella
dei santi e delle sante dell’Africa e in particolare della Beata Anuarite e del Beato
Isidore Bakanja. Che il loro esempio sia per la Chiesa nella vostra regione uno sprone
vigoroso a vivere la carità di Cristo verso tutti. A ognuno di voi, ai sacerdoti,
ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli della vostra Diocesi
imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica.