Sinodo dei vescovi per l’Africa: presentato l’elenco unico delle proposizioni finali.
Appello per la pace nella regione dei Grandi Laghi. Con noi, il vescovo burundese
Joachim Ntahondereye
Si avvia verso le conclusioni il Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano
sui temi della riconciliazione, la giustizia e la pace. Stamani, nel corso della 17.ma
Congregazione generale, è stato presentato l’elenco unico delle Proposizioni finali.
Il documento, ancora provvisorio, verrà emendato e messo ai voti nei prossimi giorni.
Alla presenza di Benedetto XVI, i Padri Sinodali hanno inoltre lanciato un appello
per la pace nella Regione dei Grandi Laghi. Il servizio di Isabella Piro:
Un appello
sofferto e pressante perché cessino le violenze nella Regione dei Grandi Laghi. È
quanto scrive la presidenza del Sinodo in una lettera indirizzata, tra gli altri,
ai vescovi del Sudan, Paese che negli ultimi tempi ha visto l’orrore di cristiani
crocifissi. "Non uccidere" è un comandamento scritto nel cuore dell’uomo, si legge
nel testo. Il linguaggio delle armi sia sostituito da quello del dialogo.
E
la pace e la riconciliazione prevalgono, naturalmente, nell’elenco unico delle proposizioni
presentato stamani. Nel documento, ancora provvisorio, si definisce l’attuale Sinodo
come “Sinodo della Pentecoste”, si chiede che la cooperazione ispiri la società e
si guarda alla solidarietà pastorale.
Entrando nello
specifico, i Padri Sinodali riflettono sul dialogo ecumenico ed interreligioso, in
particolare con l’Islam. Sul modello della Giornata mondiale di preghiera per la pace,
tenutasi ad Assisi nel 1986, la bozza di Proposizioni chiede il rispetto della libertà
di culto e invita a non etnicizzare o politicizzare la religione. La libertà religiosa
è un diritto fondamentale che va protetto e riconosciuto, dicono i Padri Sinodali:
si restituiscano le chiese e le proprietà confiscate, si dica no al fondamentalismo.
Centrale anche il rapporto con le Religioni Tradizionali Africane,
che non vengono rifiutate a priori, ma che devono essere studiate in comparazione
con la teologia. Nel contempo, il Sinodo raccomanda che la Chiesa sia capace di affrontare
l’esoterismo e le pratiche occulte.
Quindi, i Padri
Sinodali guardano al progresso concreto dell’Africa: in quest’ambito, si chiede di
fermare la “fuga dei cervelli” istituendo centri di eccellenza accademica, si auspica
lo sviluppo di un programma di soppressione del debito estero, si sostiene il microcredito.
Poi, la grande pagina della Dottrina Sociale della
Chiesa, che va studiata e diffusa a tutti i livelli. E spazio viene dato alla tutela
dell’ambiente, nel momento in cui l’Africa vede una desertificazione senza precedenti,
all’auspicio di un trattato internazionale sul traffico di armi e alla difesa dei
diritti dei migranti, che non vanno criminalizzati.
L’elenco
unico delle Proposizioni parla anche della globalizzazione, auspicando che essa sia
etica e solidale e ribadisce che le risorse naturali dell’Africa devono essere gestite
a livello locale, senza lo sfruttamento delle multinazionali.
Forte
anche l’auspicio che la democrazia si diffonda in tutta l’Africa, che siano garantite
elezioni libere, imparziali e trasparenti, che i fedeli laici vivano la loro vocazione
anche in politica, mentre ai leader religiosi si chiede di restare “super partes”.
Il documento provvisorio si appella poi alla tutela
della famiglia, spesso colpita dalla trivializzazione dell’aborto e dal disprezzo
della maternità. In quest’ambito, si pensa ad una Federazione panafricana delle famiglie
cattoliche. E di tutela si parla anche per le donne, i bambini, i giovani, i disabili,
perché la loro integrazione nella Chiesa e nella società sia sempre più favorita.
Poi, le Proposizioni si soffermano sul problema
dell’Aids, ribadendo che questa patologia è non solo una questione farmaceutica, ma
è un’istanza di sviluppo integrale e di giustizia. L’aiuto pastorale viene richiesto,
in particolare, per le coppie sposate contagiate, si ribadisce il "no" all’infedeltà
e alla promiscuità, si condanna chi diffonde il virus Hiv come arma di guerra, si
chiedono, per i malati africani, gli stessi trattamenti medici forniti al resto del
mondo.
Quindi, attenzione viene riservata alla pena
di morte, della quale si auspica l’abolizione totale, e ai detenuti, affinché non
vengano violati i loro diritti. E pari attenzione viene riservata a seminaristi, per
i quali si richiede l’accertamento delle loro intenzioni, e ai sacerdoti, perché siano
immagine viva ed autentica di Cristo e vivano l’impegno alla castità e alla preghiera.
L’ultima proposizione, invece, si sofferma sulla comunicazione: in particolare, si
chiede che la Chiesa sia più presente nei mass media e che i giornalisti siano formati
nell’etica.
Infine, i Padri Sinodali ringraziano
il Secam (il Simposio delle Conferenza episcopali dell’Africa e del Madagscar) per
i sui 40 anni di attività ed auspicano un rafforzamento del suo operato.
Questa
mattina, dunque, i Padri Sinodali hanno levato un appello per la fine delle violenze
nella Regione dei Grandi Laghi. L’area, che comprende Rwanda, Burundi Uganda e parte
della Repubblica Democratica del Congo, della Tanzania e del Kenya, è divenuta negli
ultimi decenni scenario di guerre civili che hanno causato situazioni di estrema povertà.
Applaudita al Sinodo la proposta di convocare una Conferenza Internazionale sulla
pace e la riconciliazione nella regione. A lanciarla è stato mons. Joachim Ntahondereye,
vescovo di Muynga in Burundi. Paolo Ondarza lo ha intervistato.
R. – E’ un
evento che dovrebbe coinvolgere tutte le Conferenze episcopali della regione, e poi
avremmo anche la partnership della rete cattolica per l’edificazione della pace, che
ha base in America. Ci hanno assicurato il loro appoggio: dobbiamo fare tutto il possibile,
prima anche di gridare aiuto. E così, magari anche gli altri ci verranno in aiuto,
perché vedranno che stiamo facendo tutto il possibile.
D.
– Si tratta anche di realtà diverse tra loro, ma assieme possono riflettere sulla
edificazione della pace, sulla fine delle violenze?
R.
– Sì, sicuramente. Perché già è stato fatto tanto, a livello di ogni singola nazione,
e magari gli altri non lo sanno … Per questo è importante mettersi insieme per scambiarsi
le informazioni, ma soprattutto anche per mettere in piedi una struttura che ci aiuti
a coordinare tutto ciò che tentiamo di fare. Anche perché sì, è vero, ci sono differenze
ma ci sono anche fattori comuni a tutte le nazioni della zona e che quindi dobbiamo
tenere in conto quando cerchiamo di costruire la pace.
D.
- Dalla Regione dei Grandi Laghi ci giungono frequentemente notizie di violenze, povertà,
guerre, talvolta notizie di difficoltà serie per la vita della Chiesa …
R.
– Questo è vero, le difficoltà ci sono. La Chiesa è molto impegnata a livello di ogni
singola nazione ma anche a livello regionale. C’è la “Secam” per la Repubblica Democratica
del Congo, il Rwanda e il Burundi e poi, dall’altra parte c’è l’“Amecea” per la Tanzania,
Kenya, Uganda, Zambia, Sudan. Però ci rendiamo conto che le nostre problematiche vanno
al di là dei confini di queste nostre due Conferenze. Lo abbiamo visto nelle guerre
che si sono svolte e che si svolgono purtroppo ancora nella Repubblica Democratica
del Congo: sono partite dall’Uganda, che appartiene all’Amecea e poi, quando si è
trattato di negoziare, di cercare di porre fine a queste guerre, sono stati coinvolti
questi Paesi. Per questo, anche a livello di Chiesa dobbiamo unirci, anche per quanto
riguarda la lotta contro la povertà. Quindi, se noi andiamo avanti magari chiudendoci
soltanto in queste strutture che abbiamo ereditato anche dalla colonizzazione, non
potremmo mai riuscire a risolvere certi problemi.
D.
– Le violenze che vengono compiuti anche contro i cristiani, mi riferisco alla situazione
della Repubblica Democratica del Congo: qual è il significato?
R.
– Non sono sicuro di avere tutte le chiavi di lettura che occorrono per poter interpretare
la situazione, ma penso che non si tratti soltanto di colpire delle persone specifiche,
quanto di far tacere l’istituzione come tale, perché purtroppo ci sono tanti gruppi
e gruppuscoli armati che non accettano il lavoro della Chiesa, soprattutto quando
denuncia le ingiustizie e gli atti di violenza che vengono commessi. Per questo, mirano
a certe persone chiave per dire: se continuate su questa strada, anche voi correte
il rischio di subire la stessa sorte.