Intervista con Mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira (UGANDA)
I lavori del Sinodo per l'Africa continuano a porte chiuse. Oggi è in programma l'unificazione
delle Proposizioni da parte del relatore generale, dei segretari speciali e dei relatori
dei Circoli Minori. Tra i tanti temi emersi finora, anche quello delle preziose risorse
del continente africano, spesso causa di sfruttamento a vantaggio di interessi non
africani. Il concetto è stato più volte viene ribadito in questi giorni nell'Aula
del Sinodo. Lo ha ricordato anche mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira
in Uganda. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – C’è una
presenza di gente che viene dal di fuori ancora purtroppo a sfruttare l’Africa e trova
evidentemente dei complici per cui alla fine chi ci lascia la pelle e ci perde è la
popolazione, il popolo, la gente comune.
D. – Quindi, interessi economici non
africani alla base della povertà e del disagio africano…
R. – Sì, che si sposano
evidentemente molto bene con gli interessi di alcune élite di potere locale. Questa
è una miscela micidiale che fa esplodere i conflitti oppure mantiene in povertà la
maggior parte della gente in Africa.
D. – Il Papa ha sottolineato, oltre alle
risorse materiali che fanno tanto gola ai Paesi industrializzati e alle multinazionali,
anche la grande risorsa morale dell’Africa, tutto ciò che l’Africa può dare al resto
del mondo: forse se ne parla troppo poco…
R. – Se ne parla poco, è vero e bisognerebbe
appunto dare più voce a questo. Oggettivamente risorse tradizionali, tesori dell’Africa,
come il senso della signoria di Dio, il senso della vita, vengono davvero minate e
messe in pericolo. Quindi il discorso del materialismo che viene importato diventa
un vero pericolo per l’Africa di oggi, con il rischio di perdere di vista quelle che
sono le proprie tradizioni e radici spirituali che possono e dovrebbero veramente
aiutare anche il mondo intero a respirare meglio. Il Papa ha parlato dell’Africa come
un polmone di spiritualità per la Chiesa.
D. – Tra i valori messi in pericolo
c’è anche quello della famiglia?
R. – Basti pensare all’invasione di preservativi
o allo scandalo suscitato dalle parole del Papa nel suo viaggio in Africa dietro il
quale, anche poco maldestramente, si nascondevano evidentemente interessi di industrie
farmaceutiche internazionali. Questo però purtroppo trova eco anche in governanti
africani per portare avanti certe politiche che vanno contro i valori africani.
D.
- Quanto la Chiesa e quanto la fede può essere il centro e l’anima di una vera inversione
di tendenza in Africa?
R. - Per me questo è il fatto fondamentale, il cuore,
il motore dello sviluppo vero e integrale dell’uomo.
D. – Quali difficoltà
vive la Chiesa in Uganda?
R. – Posso parlare in prima persona della Chiesa
locale di Lira, nel nord dell’Uganda. E’ una popolazione che sta uscendo ora a fatica
da un tunnel di 23 anni di guerriglia del Lord’s Resistance Army (l’Esercito di Resistenza
del Signore), un popolo che ha tante ferite che non sono solo quelle fisiche - gente
che è stata mutilata, i bambini soldato - ma ferite anche morali - famiglie disgregate,
l’esperienza della vita nei campi di concentramento e nei campi di sfollati - e che
ora si trova con questa povertà di energie, un po’ dissanguata ad affrontare la sfida
della ricostruzione. Bisogna ricominciare da capo un po’ tutto. C’è speranza, c’è
volontà di continuare a camminare insieme e soprattutto c’è fiducia nella presenza
di un Dio che non ci lascia soli.
D. – La Chiesa ugandese ha fiducia in questo
Sinodo?
R. – Siamo venuti con speranza, con aspettative: realisticamente sappiamo
che non tutto potrà essere realizzato. Basta pensare all’esperienza del primo Sinodo.
Siamo ancora ben lontani dal costruire questa famiglia di Dio, ci sono ancora tante
divisioni tra fratelli e sorelle, l’incapacità a riconoscersi come fratelli: c’è ancora
molto da fare, ma abbiamo fiducia e speranza che si possa crescere e per questo siamo
qui.