Dal Sinodo per l'Africa una forte spinta al rinnovamento del continente. Le testimonianze
dei vescovi Norbert Mtega e Gabriel Mbilingi
Il Sinodo per l’Africa inizia domani l’ultima settimana di lavori: ieri, è stata presentata
la bozza del Messaggio finale. Adesso si unificheranno le proposizioni dei Circoli
minori. Da questa importante assemblea si attende una forte spinta al rinnovamento.
Ne sono convinti molti dei Padri sinodali che, nei loro interventi in aula, spesso
presentano i grandi traguardi raggiunti dalla Chiesa africana dopo il primo Sinodo
del 1994. La Tanzania, ad esempio, negli ultimi 15 anni ha conosciuto un forte sviluppo
dei mass media cattolici così come della promozione dei diritti umani. Significativi
anche i progressi nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso, ma non mancano le
difficoltà: prima fra tutte il rischio del fondamentalismo. Al microfono di Paolo
Ondarza, la riflessione di mons. Norbert Mtega, arcivescovo di Songea in
Tanzania:
R. – Dopo
il primo Sinodo per l’Africa del ’94 ci sono adesso otto radio cattoliche nelle varie
diocesi. Più di 15 diocesi ascoltano una radio cattolica. Questa è stata una novità
perché prima c’era solo una radio statale. Inoltre, la Chiesa dal ’94 ha deciso di
aprire un’università cattolica e adesso abbiamo più di ottomila alunni in questa università.
Poi, dopo il Sinodo del ’94 la Chiesa si è veramente sforzata di infondere l’insegnamento
della dottrina sociale della Chiesa. La gente comincia a capire bene i propri diritti
umani, cosa è la dignità umana, la democrazia, cosa è la giustizia. D.
– Il riferimento ai diritti umani come viene recepito? R. – La popolazione
generalmente lo accetta e lo recepisce molto positivamente. Tuttavia, la maggioranza
della popolazione nei villaggi è analfabeta, perciò non può leggere i giornali e allora
qui il risveglio avviene un po’ lentamente. Cominciano a capire tante cose che non
sapevano prima. Ma i partiti politici, quelli che sono più ideologici, sono contro
questi sviluppi perché vedono che il popolo scopre molte cose: loro preferiscono che
la popolazione rimanga ignorante. I diritti delle persone semplici nei villaggi sono
talvolta violati da chi è al potere. I pastori della Chiesa levano la loro voce come
profeti. La presa di coscienza della società è un processo che avviene lentamente.
Ci vuole tempo per i popoli dell’Africa per capire queste parole. Qui in Italia avete
sentito questi discorsi già da bambini, non sono cose nuove per voi, ma da noi sono
nuovissime e perciò la Chiesa deve parlare! D. – Che rapporti
avete con le altre religioni e sul fronte ecumenico? R. - Generalmente
sono rapporti buoni. Tra noi cristiani c’è una collaborazione buonissima. Io sono
presidente della Commissione per i servizi sociali ecumenici e adesso con i rappresentanti
delle altre confessioni cristiane stiamo scrivendo il programma di studi per le scuole,
a tutti livelli: la morale sarà al centro di questo studio che verrà riconosciuto
dal Ministero dell’Educazione. Anche i musulmani stanno partecipando. C’è un'ottima
cooperazione anche con loro. Tuttavia, c’è un duplice pericolo: il primo deriva da
coloro che portano gli argomenti della religione nella politica, in parlamento, siano
cristiani o musulmani. Questo secondo me è pericoloso. In secondo luogo, c’è da evidenziare
che i musulmani vengono finanziati da Paesi stranieri che vogliono spingere l’Islam
ad avere contrasti con i cristiani. Quando si parla di Al Qaeda, c’è da dire questo:
usano i soldi per comprare i poveri dell’Africa, per farli diventare strumenti di
conflitto e di terrorismo. Questo è il pericolo da noi e preghiamo Dio che ciò sia
evitato dalla comunità mondiale.
Al Sinodo dei vescovi, più volte è stato
anche sottolineato il valore delle tradizioni africane come base del processo di riconciliazione.
Se da una parte i Padri sinodali hanno condannato la superstizione e la stregoneria,
dall’altra hanno evidenziato i molti spunti positivi nella cultura africana, come
il rito dell’ammissione della colpa o della promessa di non ricadere nell’errore,
che possono conciliarsi con il Cristianesimo. Paolo Ondarza ne ha parlato con
mons.Gabriel Mbilingi, arcivescovo di Lubango in Angola:
R. – Innanzitutto,
l’inserimento dell’uomo nella sua comunità sociale è un dato molto importante: in
Africa si sottolinea di più l’aspetto collettivo che non individuale, per cui i valori
come l’ospitalità, la solidarietà, l’inserimento nella vita della comunità. Qualcuno
in Aula ha anche parlato dei riti dell’Africa che riguardano la riconciliazione e
la pace, per esempio. Ci sono dei riti per riconciliarsi e ci sono anche peccati che
per qualche cultura non sono perdonabili. Allora, a questo punto, bisogna che sia
il Vangelo ad evangelizzare quelle culture, in modo che riescano a cambiare questo
aspetto che non è troppo positivo. D. – A proposito non tanto
di una tradizione, quanto forse di superstizioni da superare, si è parlato anche della
stregoneria. Come contrastarla? R. – La sfida in questo campo
culturale mi pare la più grande, nel senso che questi fatti di stregoneria, di culti,
tutto questo a mio avviso è pericoloso per il Vangelo, danneggia la vita di tantissime
famiglie della società in Africa. Comunque, dobbiamo rispondere a questo con una fede
più forte, con una conoscenza di Cristo, di Dio, del suo mistero di Salvezza, del
suo potere sul male. Quindi, sembra proprio che la risposta qui sia un’evangelizzazione
un po' più approfondita del mistero cristiano e anche della nostra risposta all’amore
di Dio, che ci viene incontro tramite la fede.