2009-10-17 14:31:06

Missionari per l'Africa e missionari dall'Africa. Intervista con il Card. Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti


Pubblichiamo il testo dell’intervista al Cardinale Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e Fondatore della Congregazione dei Brothers of St. Stephen, raccolta dall'Agenzia Fides.

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Eminenza, da oltre quarant'anni la Congregazione dei Brothers of St Stephen, che Lei ha fondato nel 1971 quando era Ordinario dell'Arcidiocesi di Onitsha in Nigeria, propone la testimonianza di laici che si consacrano alla vita religiosa attraverso l'osservanza dei voti di castità, povertà e obbedienza e l'apostolato catechetico. Quali circostanze ne resero possibile la realizzazione?
“La Congregazione dei Fratelli di Santo Stefano ha le sue radici in una Pia Unione che operava sin dal 1942 con l'approvazione di mons. Charlse Heerey CSSp, prima Vicario Apostolico e poi Arcivescovo di Onitsha. Con il passare degli anni il gruppo continuò ad accogliere nuovi membri, in particolare giovani che si dedicavano all'attività di catechisti nella Cattedrale di Onitsha ed in altre parrocchie. Nel 1967, quando fui nominato Arcivescovo, essi erano in tutto 8. Convocai allora una commissione e studiai il modo di trasformare quel sodalizio assai prezioso per la nostra comunità, in una Congregazione religiosa laicale. Fu così che venne abbozzata la prima regola di vita nel 1971 e quindi, sette anni più tardi, si arrivò alla prima professione religiosa. In questo lasso di tempo fui continuamente in contatto con la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, affinché venissero rispettati tempi e modi prima di richiedere ufficialmente l'erezione canonica dell'Istituto, cosa che avvenne il 25 marzo 1983 con la soddisfazione di tutti. Il primo gruppo di fratelli laici emise la professione finale dei voti religiosi il 7 agosto dello stesso anno”.

In che modo i Brothers of St Stephen sono protagonisti di un nuovo processo di evangelizzazione fatta da africani?
“La novità della Congregazione è rappresentata dalla sua natura laicale, quindi essa ha innanzitutto il significato di una presa di coscienza del laicato nell'evangelizzazione della società africana. Per sua natura il cristiano è chiamato a farsi apostolo, portatore dello spirito di Cristo in ogni ambito temporale, nell'arte, nella scienza, nella politica, nella famiglia. Ma oggi sperimentiamo l'urgenza di vite cristiane impegnate a cominciare dalle necessità pastorali della Chiesa locale. Se pensiamo ad una comunità come la parrocchia, allora ci accorgiamo che essa ha bisogno di catechisti, formatori, animatori, persone che si mettano al servizio dei più poveri e svantaggiati. A livello diocesano incontriamo istituzioni più strutturate che necessitano – oltre che di sacerdoti e religiosi – ancora di laici: scuole, Università, seminari, organizzazioni di vario tipo, centri sanitari. Per quanto riguarda i Brothers of St. Stephen, possiamo osservare come un gruppo di giovani impegnati abbia potuto farsi carico di alcuni bisogni della Diocesi di Onitsha, in particolare della catechesi e dell'animazione pastorale. Ma questo non è tutto. Nel tempo la Congregazione ha aggiunto a tali attività numerosi impegni nel più vasto campo formativo. Oggi l'apostolato include l'organizzazione di seminari per catechisti e insegnanti di religione, corsi presso vari istituti scolastici e, in generale, una presenza costante in tutti i livelli ecclesiali. La scelta del nostro Patrono non è stata casuale. Gli Atti parlano di Stefano e di sei compagni che furono scelti per lavorare a fianco degli Apostoli. I Fratelli di Santo Stefano intendono oggi porsi precisamente al servizio dei Vescovi e sacerdoti per contribuire alla diffusione della fede e alla santificazione del popolo di Dio attraverso la professione dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza”.

Ci furono delle difficoltà legate alla natura laicale dell'Istituto?
“Sì, furono delle difficoltà soprattutto di tipo sociale. Alcune persone facevano fatica a comprendere la vocazione di un fratello laico, poiché davano per scontato il percorso che porta al sacerdozio ordinato. Altre volte i membri dell'Istituto venivano visti come dei consacrati in tono minore se messi in relazione ai sacerdoti, dimenticando la diversità ma al tempo stesso la complementarietà dei due tipi di vocazioni. La Chiesa ha bisogno di tutti, altrimenti la sua testimonianza sarebbe incompleta. E questo è tanto più vero se ci riferiamo alle necessità specifiche della Chiesa locale. Oggi posso dire che le difficoltà legate a quel tipo di pregiudizio sono state superate, anche grazie alla maggiore consapevolezza della vocazione del cristiano, ad una più profonda compartecipazione del ruolo di Cristo Sacerdote, Profeta e Re. Si tratta di una crescita comunitaria, che non viene da un singolo o da una precisa situazione, ma dalla costante testimonianza di fede e dai frutti, visibili e non, che essa genera”.

I Fratelli di Santo Stefano, come molti altri Istituti religiosi, testimoniano una “africanizzazione” del corpo ecclesiale e della dinamica missionaria. L'Africa oggi può essere protagonista della propria evangelizzazione come prefigurò Paolo VI nel 1969?
“Certamente sì, la vocazione missionaria è parte costitutiva della vita cristiana, non è un'opzione aggiuntiva. I cristiani dell'Africa sono chiamati ad evangelizzare ogni campo della vita sociale, politica, culturale, economica. La Chiesa africana – nel mobilitare le proprie energie, sostenere programmi catechetici, biblici, educativi e di promozione umana – sente al tempo stesso di aprirsi anche alla missione universale, come già sta avvenendo grazie ad un mutuo scambio con le Chiese degli altri continenti”.
 







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