Missionari per l'Africa e missionari dall'Africa. Intervista con il Card. Francis
Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti
Pubblichiamo il testo dell’intervista al Cardinale Francis Arinze, Prefetto emerito
della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e Fondatore
della Congregazione dei Brothers of St. Stephen, raccolta dall'Agenzia Fides.
Città
del Vaticano (Agenzia Fides) – Eminenza, da oltre quarant'anni la Congregazione dei
Brothers of St Stephen, che Lei ha fondato nel 1971 quando era Ordinario dell'Arcidiocesi
di Onitsha in Nigeria, propone la testimonianza di laici che si consacrano alla vita
religiosa attraverso l'osservanza dei voti di castità, povertà e obbedienza e l'apostolato
catechetico. Quali circostanze ne resero possibile la realizzazione? “La Congregazione
dei Fratelli di Santo Stefano ha le sue radici in una Pia Unione che operava sin dal
1942 con l'approvazione di mons. Charlse Heerey CSSp, prima Vicario Apostolico e poi
Arcivescovo di Onitsha. Con il passare degli anni il gruppo continuò ad accogliere
nuovi membri, in particolare giovani che si dedicavano all'attività di catechisti
nella Cattedrale di Onitsha ed in altre parrocchie. Nel 1967, quando fui nominato
Arcivescovo, essi erano in tutto 8. Convocai allora una commissione e studiai il modo
di trasformare quel sodalizio assai prezioso per la nostra comunità, in una Congregazione
religiosa laicale. Fu così che venne abbozzata la prima regola di vita nel 1971 e
quindi, sette anni più tardi, si arrivò alla prima professione religiosa. In questo
lasso di tempo fui continuamente in contatto con la Congregazione per l'Evangelizzazione
dei Popoli, affinché venissero rispettati tempi e modi prima di richiedere ufficialmente
l'erezione canonica dell'Istituto, cosa che avvenne il 25 marzo 1983 con la soddisfazione
di tutti. Il primo gruppo di fratelli laici emise la professione finale dei voti religiosi
il 7 agosto dello stesso anno”.
In che modo i Brothers of St Stephen sono protagonisti
di un nuovo processo di evangelizzazione fatta da africani? “La novità della Congregazione
è rappresentata dalla sua natura laicale, quindi essa ha innanzitutto il significato
di una presa di coscienza del laicato nell'evangelizzazione della società africana.
Per sua natura il cristiano è chiamato a farsi apostolo, portatore dello spirito di
Cristo in ogni ambito temporale, nell'arte, nella scienza, nella politica, nella famiglia.
Ma oggi sperimentiamo l'urgenza di vite cristiane impegnate a cominciare dalle necessità
pastorali della Chiesa locale. Se pensiamo ad una comunità come la parrocchia, allora
ci accorgiamo che essa ha bisogno di catechisti, formatori, animatori, persone che
si mettano al servizio dei più poveri e svantaggiati. A livello diocesano incontriamo
istituzioni più strutturate che necessitano – oltre che di sacerdoti e religiosi –
ancora di laici: scuole, Università, seminari, organizzazioni di vario tipo, centri
sanitari. Per quanto riguarda i Brothers of St. Stephen, possiamo osservare come un
gruppo di giovani impegnati abbia potuto farsi carico di alcuni bisogni della Diocesi
di Onitsha, in particolare della catechesi e dell'animazione pastorale. Ma questo
non è tutto. Nel tempo la Congregazione ha aggiunto a tali attività numerosi impegni
nel più vasto campo formativo. Oggi l'apostolato include l'organizzazione di seminari
per catechisti e insegnanti di religione, corsi presso vari istituti scolastici e,
in generale, una presenza costante in tutti i livelli ecclesiali. La scelta del nostro
Patrono non è stata casuale. Gli Atti parlano di Stefano e di sei compagni che furono
scelti per lavorare a fianco degli Apostoli. I Fratelli di Santo Stefano intendono
oggi porsi precisamente al servizio dei Vescovi e sacerdoti per contribuire alla diffusione
della fede e alla santificazione del popolo di Dio attraverso la professione dei consigli
evangelici di castità, povertà e obbedienza”.
Ci furono delle difficoltà legate
alla natura laicale dell'Istituto? “Sì, furono delle difficoltà soprattutto
di tipo sociale. Alcune persone facevano fatica a comprendere la vocazione di un fratello
laico, poiché davano per scontato il percorso che porta al sacerdozio ordinato. Altre
volte i membri dell'Istituto venivano visti come dei consacrati in tono minore se
messi in relazione ai sacerdoti, dimenticando la diversità ma al tempo stesso la complementarietà
dei due tipi di vocazioni. La Chiesa ha bisogno di tutti, altrimenti la sua testimonianza
sarebbe incompleta. E questo è tanto più vero se ci riferiamo alle necessità specifiche
della Chiesa locale. Oggi posso dire che le difficoltà legate a quel tipo di pregiudizio
sono state superate, anche grazie alla maggiore consapevolezza della vocazione del
cristiano, ad una più profonda compartecipazione del ruolo di Cristo Sacerdote, Profeta
e Re. Si tratta di una crescita comunitaria, che non viene da un singolo o da una
precisa situazione, ma dalla costante testimonianza di fede e dai frutti, visibili
e non, che essa genera”.
I Fratelli di Santo Stefano, come molti altri Istituti
religiosi, testimoniano una “africanizzazione” del corpo ecclesiale e della dinamica
missionaria. L'Africa oggi può essere protagonista della propria evangelizzazione
come prefigurò Paolo VI nel 1969? “Certamente sì, la vocazione missionaria è parte
costitutiva della vita cristiana, non è un'opzione aggiuntiva. I cristiani dell'Africa
sono chiamati ad evangelizzare ogni campo della vita sociale, politica, culturale,
economica. La Chiesa africana – nel mobilitare le proprie energie, sostenere programmi
catechetici, biblici, educativi e di promozione umana – sente al tempo stesso di aprirsi
anche alla missione universale, come già sta avvenendo grazie ad un mutuo scambio
con le Chiese degli altri continenti”.