Intervista con Mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (NIGERIA)
Con la presentazione della bozza del messaggio finale, dunque, si è chiusa questa
mattina la seconda settimana di lavori del Sinodo dei Vescovi. Sui contenuti e le
finalità di questo documento, la cui versione definitiva sarà votata e illustrata
venerdì prossimo, Paolo Ondarza ha intervistato il presidente della commissione
per il messaggio, mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria:
R. – Nel messaggio
non c’è nessuna intenzione di riassumere tutto il lavoro del Sinodo. La seconda cosa
è il linguaggio che abbiamo cercato di adottare: il linguaggio di un messaggio che
viene indirizzato alla nostra gente. Il messaggio, inoltre, è stato indirizzato a
diverse categorie della comunità africana non soltanto della Chiesa. Spero che ciò
che abbiamo da dire riguardo ai responsabili delle cose pubbliche africane venga da
loro ascoltato. Assumiamo questa posizione, in modo che i responsabili politici siano
precisamente responsabili della situazione in Africa adesso e allora si assumano la
responsabilità.
D. – Quindi c’è un’esortazione in questo senso…
R. –
Sì, l’esortazione è dire: guardate ciò che l’Africa è, certamente non è qualcosa di
cui possiamo essere fieri. Non possiamo continuare a scaricare le colpe altrove. Sì,
ci sono delle ingerenze esterne, delle responsabilità politiche dei grandi poteri,
però questo non può essere il pretesto per non fare qualcosa. Poi abbiamo dovuto parlare
fortemente contro tutto un modo di fare degli uomini politici. Ci sono strutture democratiche
che vengono completamente sovvertite.
D. – I cosiddetti colpi di stato silenziosi…
R.
– Esattamente. I dittatori che stanno lì e che organizzano le elezioni ogni quattro
anni e che non dicono niente: la comunità internazionale continua a far finta di non
vedere niente.
D. – Tutto apparentemente sembra svolgersi democraticamente…
R.
– Ma la gente stessa che subisce le conseguenze di questo sa bene di non aver scelto
il proprio governo. Nel Paese dove qualche tentativo modesto è stato fatto per avere
un sistema democratico decente si vede già il risultato positivo, sia per quanto riguarda
la pace nel Paese sia anche nei risvolti economici per il popolo. Se un Paese è ben
organizzato gli altri lo tratteranno con dignità.
D. – Dunque il messaggio
è uno strumento da offrire sia alla Chiesa ma anche alle società africane…
R.
– Addirittura alla comunità internazionale perché non si deve dimenticare che questa
non è una riunione di vescovi africani che si tiene a Roma, questo è il Sinodo dei
vescovi.
D. – Come formulare un messaggio che sia adattabile alle variegate
situazioni in Africa? Come rivolgersi a tutte le singole realtà in un unico messaggio?
R.
– Certamente è possibile. Tutto il discorso su cosa vogliono dire riconciliazione,
pace, giustizia, è universale per tutti, non soltanto per l’Africa. Quando un Sinodo
come questo si riunisce, i problemi di una parte sono i problemi di tutti. Questo
vuol dire Sinodo.
D. – Si cammina insieme…
R. – Insieme, camminiamo
insieme. La cosa bella nel Sinodo è che può anche succedere che la Chiesa in determinate
situazioni non possa parlare ma tutti noi possiamo parlare per loro. Le cose che i
vescovi non possono dire a casa, il Sinodo le può dire per loro. Diciamo in inglese:
giving voice to the voiceless, dare voce a chi non ha voce.