Conferenza sull’Aids pediatrico: interviste con l'ambasciatore Usa Diaz e padre
Guarise
Seconda giornata di lavori della Conferenza sull’Aids pediatrico, alla Pontificia
Università della Santa Croce. In particolare, stamani si è parlato di prevenzione
e trasmissione dell’Hiv madre-figlio e della condizione dei bambini sieropositivi
nei Paesi in via di sviluppo. La Conferenza è promossa dalla Caritas Internationalis
e dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede. Proprio il neoambasciatore americano,
Miguel H. Diaz, intervistato da Alessandro Gisotti, si sofferma sull’importanza
di questo evento:
R. – Il bambino
è il protagonista principale di questa Conferenza. Il nostro obiettivo è di poter
aiutare, manifestare l’intenzione di promuovere l’istruzione e l’informazione. E ancora
la prevenzione e l’accesso ai medicinali necessari per aiutare i bambini.
D.
– C’è anche un aspetto sociale, culturale della lotta all’Aids …
R.
– Credo che anche dal punto di vista sociale dobbiamo trasmettere il messaggio, in
particolare per le donne che soffrono per questa malattia, che per loro c’è speranza,
che esiste la possibilità di curarle e che la loro sofferenza non è una colpa. Tutti
si devono impegnare a trasmettere questo messaggio. E’ importante l’unità tra tutti
i settori della società che stanno lavorando seriamente per questa nobile causa.
Alla
Conferenza, partecipano molti religiosi impegnati nella lotta contro l’Aids. Un impegno
che prosegue senza risparmio di energie, ha assicurato padre David Glenday, segretario
dell’Unione Superiori Generali, intervenuto ieri. Proprio per questo, l’organismo
che rappresenta i religiosi e le religiose di tutto il mondo, ha istituito una Commissione
Salute. Al presidente di questa Commissione, il padre camilliano PaoloGuarise,
Alessandro Gisotti ha chiesto di indicare quali finalità si propone la Conferenza
sull’Aids:
R. – Sensibilizzare
specialmente le ditte farmaceutiche e i governi a ridurre i prezzi sia delle medicine
sia dei test in modo che i bambini malati abbiano più facile accesso sia alle medicine
che ai test.
D. – Ci sono delle aspettative, delle
speranze su questo fronte?
R. – Che aumentino le
donazioni, soprattutto la distribuzione di queste risorse, specialmente quando vengono
dai governi. Purtroppo, infatti, non è detto che arrivino alle persone interessate.
Si perdono per strada. Questa è una cosa molto importante da affrontare.
D.
– I religiosi, le religiose sono concretamente le persone che sul posto assistono
i malati, i bambini come le madri …
R. – Sì e qualche
volta i religiosi o le religiose non hanno il tempo materiale o fisico di svolgere
queste attività perché sono così presi dalla preoccupazione finanziaria. In altre
parole, se i governi oppure le ditte fornitrici e le organizzazioni internazionali
ci dessero maggiori risorse economiche, avremmo molto più tempo noi religiosi e religiose
da dedicare alle risorse non economiche, sempre inerenti all’Aids e alla Tbc. Spesso
la nostra preoccupazione è come trovare i fondi.
D.
– Lei accennava all’aspetto umano, quello che serve dove non arriva la medicina …
R.
– Senz’altro. Direi che il nostro impegno innanzitutto è un impegno pastorale, spirituale,
religioso. Che poi, naturalmente, andando sul pratico, ha bisogno anche di cura. Quello
che noi vogliamo è un accompagnamento, un approccio al malato prima di tutto per la
sua dignità umana, per le sue esigenze di persona: uomo, donna, bambino, famiglia.
Se noi saremo i primi a dare la precedenza a questo, anche le conseguenze verranno
poi immediatamente. Però, prima c’è il rispetto della persona: non solo delle sue
esigenze fisiche, ma nel complesso, cioè un approccio integrale alla persona.