2009-10-14 15:52:20

Oggi la Giornata internazionale per la prevenzione delle catastrofi naturali


Ricorre oggi la “Giornata internazionale per la prevenzione delle catastrofi naturali”, indetta dalle Nazioni Unite. Solo nel 2008 i disastri legati alle condizioni climatiche e ambientali hanno provocato la morte di 235mila persone e oltre 25 milioni di profughi. Questi dati, forniti dall’Ong Coopi, risultano ancora più allarmanti se si considera che la maggioranza di questi eventi colpisce soprattutto i Paesi del sud del mondo, come confermano la recente alluvione nelle Filippine ed il devastante terremoto a Sumatra. Per una riflessione sulle conseguenze di questi fenomeni e sullo stato di conservazione del pianeta, Marco Guerra ha intervistato Giampiero Maracchi, direttore dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr:RealAudioMP3

R. – Molti degli eventi e la frequenza di questi eventi estremi c’erano anche nel passato. Ma oggi sono molto più frequenti: lo si deve attribuire al cambiamento del clima. Cambiamento del clima che senz’altro – o perlomeno al 95% - è da imputarsi agli effetti dell’uomo. Negli ultimi 400 mila anni, il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è variato da 220 e 290 parti per milione. Negli ultimi cento anni è variata da 290 a 380. Mi sembra che già la proporzione di questa variazione dica a che cosa dobbiamo imputare i cambiamenti cui assistiamo.
 
D. – Molti esperti sostengono che il riscaldamento globale accrescerà la povertà e arresterà lo sviluppo dei Paesi più poveri. Quali scenari dobbiamo immaginare in queste aree?
 
R. – A me sembra che oggi, oltre al cambiamento del clima, il problema sia legato piuttosto al modello economico e al fatto che le risorse naturali per uno sfruttamento come quello che è stato fatto dalla civiltà industriale nei Paesi sviluppati, non sia estendibile a tutto il mondo. Ognuno di noi ha a disposizione 2.500 metri quadri di terra coltivabile: è una quantità veramente piccolissima!
 
D. – Per affrontare la sfida del cambiamento climatico, sono sufficienti gli obiettivi fissati per la riduzione delle emissioni?
 
R. – Sono qualcosa. La mia idea è che bisogna rivedere il modello di sviluppo che abbiamo adottato negli ultimi due secoli. Certamente è cosa molto complessa. Non so se si riuscirà a farlo velocemente ma credo che la base di tutto sia questo, perché le risorse che noi abbiamo erano adatte ad uno sviluppo che riguardava 200-300 milioni di persone, non sei miliardi.
 
D. – Quali risultati si attende nei prossimi anni?
 
R. – Mi attendo dalla Conferenza delle parti di Copenaghen che ci sia una maggiore decisione sui tempi, perché se si rimanda al 2050 penso che sarà un po’ tardi.
 
D. – Quale è la misura più urgente nell’agenda della comunità internazionale?
 
R. – E’ quella di ridurre, in ogni caso, l’uso dell’energia perché ne adoperiamo troppa. Oggi, nel 2009, adoperiamo il doppio dell’energia che adoperavamo nel 1980. Non ce ne è ragione, perché nel 1980 già eravamo in una situazione di benessere. Peraltro io credo che la risposta l’abbia data il Papa con l’Enciclica nella quale tratta, appunto, i temi dell’ambiente insieme a quelli dell’economia: oggi non si può trattare dell’ambiente se non si tratta dell’economia!







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