Oggi la Giornata internazionale per la prevenzione delle catastrofi naturali
Ricorre oggi la “Giornata internazionale per la prevenzione delle catastrofi naturali”,
indetta dalle Nazioni Unite. Solo nel 2008 i disastri legati alle condizioni climatiche
e ambientali hanno provocato la morte di 235mila persone e oltre 25 milioni di profughi.
Questi dati, forniti dall’Ong Coopi, risultano ancora più allarmanti se si considera
che la maggioranza di questi eventi colpisce soprattutto i Paesi del sud del mondo,
come confermano la recente alluvione nelle Filippine ed il devastante terremoto a
Sumatra. Per una riflessione sulle conseguenze di questi fenomeni e sullo stato di
conservazione del pianeta, Marco Guerra ha intervistato Giampiero Maracchi,
direttore dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr:
R. – Molti
degli eventi e la frequenza di questi eventi estremi c’erano anche nel passato. Ma
oggi sono molto più frequenti: lo si deve attribuire al cambiamento del clima. Cambiamento
del clima che senz’altro – o perlomeno al 95% - è da imputarsi agli effetti dell’uomo.
Negli ultimi 400 mila anni, il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è variato
da 220 e 290 parti per milione. Negli ultimi cento anni è variata da 290 a 380. Mi
sembra che già la proporzione di questa variazione dica a che cosa dobbiamo imputare
i cambiamenti cui assistiamo. D. – Molti esperti sostengono
che il riscaldamento globale accrescerà la povertà e arresterà lo sviluppo dei Paesi
più poveri. Quali scenari dobbiamo immaginare in queste aree? R.
– A me sembra che oggi, oltre al cambiamento del clima, il problema sia legato piuttosto
al modello economico e al fatto che le risorse naturali per uno sfruttamento come
quello che è stato fatto dalla civiltà industriale nei Paesi sviluppati, non sia estendibile
a tutto il mondo. Ognuno di noi ha a disposizione 2.500 metri quadri di terra coltivabile:
è una quantità veramente piccolissima! D. – Per affrontare la
sfida del cambiamento climatico, sono sufficienti gli obiettivi fissati per la riduzione
delle emissioni? R. – Sono qualcosa. La mia idea è che bisogna
rivedere il modello di sviluppo che abbiamo adottato negli ultimi due secoli. Certamente
è cosa molto complessa. Non so se si riuscirà a farlo velocemente ma credo che la
base di tutto sia questo, perché le risorse che noi abbiamo erano adatte ad uno sviluppo
che riguardava 200-300 milioni di persone, non sei miliardi. D.
– Quali risultati si attende nei prossimi anni? R. – Mi attendo
dalla Conferenza delle parti di Copenaghen che ci sia una maggiore decisione sui tempi,
perché se si rimanda al 2050 penso che sarà un po’ tardi. D.
– Quale è la misura più urgente nell’agenda della comunità internazionale? R.
– E’ quella di ridurre, in ogni caso, l’uso dell’energia perché ne adoperiamo troppa.
Oggi, nel 2009, adoperiamo il doppio dell’energia che adoperavamo nel 1980. Non ce
ne è ragione, perché nel 1980 già eravamo in una situazione di benessere. Peraltro
io credo che la risposta l’abbia data il Papa con l’Enciclica nella quale tratta,
appunto, i temi dell’ambiente insieme a quelli dell’economia: oggi non si può trattare
dell’ambiente se non si tratta dell’economia!