Il ruolo del cattolicesimo in Europa: intervista col cardinale Ruini
Il dibattito sul ruolo del cristianesimo nella formazione dell’identità europea è
oggi ricorrente quando si affrontano i rapporti tra la religione e le istituzioni
civili. Proprio alle sfide poste al cattolicesimo in Europa dalla secolarizzazione
e dall’incontro con altre fedi e civiltà è dedicato il volume ‘Confini’, edito recentemente
da Mondadori, che riporta con immediatezza un colloquio tra il cardinale Camillo
Ruini e uno storico laico come Ernesto Galli della Loggia. Nel libro si tematizzano
gli ostacoli che trova attualmente il cristianesimo nel suo tentativo di incarnarsi
nella modernità occidentale. Ma da dove hanno origine queste difficoltà? Fabio
Colagrande lo ha chiesto allo stesso cardinale Ruini, presidente del Progetto
Culturale della Conferenza episcopale italiana.
R. – Hanno,
a mio avviso, una doppia origine. Da una parte, nella modernità occidentale stessa
che, non soltanto si è sviluppata in maniera molto rapida – il che già di per sé indica
difficoltà di adattamento – ma soprattutto, ha preso fin dall’inizio sotto vari profili
un orientamento non troppo favorevole al cristianesimo e, in particolare, al cattolicesimo.
Sull’altro versante, le difficoltà hanno origine anche all’interno della Chiesa: da
quello che possiamo dire sinceramente, una certa lentezza nel comprendere i fenomeni,
nel valorizzare gli aspetti positivi, insieme al giusto contrasto verso quelli incompatibili
con la fede cristiana. D. – Eminenza, in questo libro lei afferma
di condividere l’invito di Papa Benedetto XVI ad allargare gli spazi della razionalità,
proprio per favorire la nuova evangelizzazione dell’Occidente. Come spiegare questa
formula? R. – Direi che la formula ha un significato che riguarda
da una parte la ragione teoretica e dall’altro la ragione pratica e i comportamenti.
Per la ragione teoretica, si tratta di non limitare la ragione umana in senso proprio,
la ragione capace di verità, alle scienze empiriche, secondo una tendenza diffusa
nel mondo scientifico e culturale di oggi. In secondo luogo, si tratta di superare
quella che il Papa chiama “la dittatura del relativismo”, comprendendo che – appunto
– anche in campo pratico, in campo morale la ragione umana è capace di fare i conti
con la realtà, con l’oggettività e non soltanto con i desideri e le tendenze del soggetto. D.
– Questo invito del Papa possiamo considerarlo un’intuizione a suo modo profetica? R.
– Direi di sì. Per una doppia ragione: una, perché indica alla Chiesa la strada di
un’autentica evangelizzazione. Ma l’altra, che riguarda invece l’umanità stessa: l’umanità,
se vuole andare avanti, se vuole affrontare seriamente i grandi problemi che ha davanti
a sé, deve avere una ragione più larga, una ragione non prigioniera né dello scientismo
né del relativismo. D. – Eminenza, lei si è impegnato da tempo
personalmente nella promozione della presenza della Chiesa nella cultura italiana.
Come e perché è nato questo suo “sforzo pastorale”? R. – E’
nato anzitutto dalle intuizioni di Giovanni Paolo II, che si esprime sia nel discorso
all’Unesco sulla cultura del 1980, sia nel discorso del 1985 alla Chiesa italiana
riunita nel Convegno di Loreto. Ma, oltre a questa intuizione del Papa, c’è l’acuta
consapevolezza non soltanto mia di una certa sproporzione tra la capacità di presenza
che i cattolici italiani hanno nel campo sociale e in particolare nel campo caritativo,
e una certa debolezza della loro presenza nella cultura. Si è voluto cercare di avviare
un processo che rimedi a questa debolezza. D. – Ecco: lei è
arrivato a farsi un’idea delle cause storiche di questo "auto-occultamento" dei cattolici
in Italia? R. – Se parliamo di “auto-occultamento”, penso che
dobbiamo riferirci ad una certa auto-referenzialità del mondo cattolico, spesso poco
incline a confrontarsi sul serio, specialmente in certi passi della sua storia moderna,
con il mondo a lui esterno. Ma non si può parlare solo di "auto-occultamento": bisogna
parlare anche di un "occultamento", non “auto”, ma che viene dagli altri. Ci sono
certamente delle forze in Italia che sono orientate a ridurre il più possibile la
presenza dei cattolici nel mondo della cultura. D. – Nel volume
“Confini” si parla anche un po’ della storia italiana, della storia della Chiesa italiana.
Le chiedo: come si è trasformato il ruolo pubblico della Chiesa in Italia dopo la
caduta della Democrazia Cristiana? E quali problematiche ha creato questo mutamento? R.
– Direi che la caduta e la fine della Democrazia Cristiana hanno comportato certamente
che la Chiesa potesse rapportarsi alle diverse forze politiche senza apparire legata
in modo peculiare ad una di esse. Quindi, ha rappresentato un vantaggio accanto –
certamente – allo svantaggio della fine di una presenza organizzata dei cattolici
nella politica italiana. Ma credo che il mutamento più grande non sia legato alla
fine della Democrazia Cristiana: sia invece legato all’emergere di quella che io chiamo
– e che il Papa chiama anche, nella sua ultima Enciclica “Caritas in veritate” – “la
nuova questione antropologica”, cioè le grandi sfide antropologiche ed etiche che
riguardano l’uomo come tale e che hanno una dimensione non solo privata ma, necessariamente,
pubblica. In particolare, riguardo alla vita, alla famiglia ma anche ad altre tematiche.
Ebbene, questa sfida ha richiesto una nuova presenza della Chiesa in Italia.