Padre D'Ambra del Pime: probabili interessi economici e non ideologici dietro il rapimento
di padre Sinnott nelle Filippine
Nelle Filippine, polizia ed esercito proseguono senza sosta le operazioni di ricerca
di padre Michael Sinnott, il missionario irlandese di 78 anni rapito da un gruppo
di uomini armati il 10 ottobre scorso a Pagadian, sull’isola di Mindanao. Secondo
fonti locali, alcuni agenti avrebbero avvistato il sacerdote in una località a 70
chilometri dal rapimento. Al momento, nessun gruppo terroristico ha rivendicato l’azione.
Sul sequestro del missionario irlandese, Amedeo Lomonaco ha intervistato padre
Sebastiano d’Ambra, missionario del Pime nelle Filippine dal 1977 ed impegnato
nel dialogo cristiano-musulmano:
R. - E’ una
forma di vergogna per noi - io ormai mi sento filippino - che queste notizie vadano
in giro per il mondo. Ancora una volta, il mondo sa che purtroppo viviamo in questa
situazione. Conosco bene il posto, conosco anche padre Sinnott. Quello che mi risulta
è che nella zona ci sono almeno due gruppi. Le motivazioni per cui l’hanno fatto credo
siano sempre le stesse: la speranza di avere dei soldi, considerando che è uno straniero. D.
- Nel caso del sequestro di padre Sinott c’è poi grande preoccupazione per le sue
condizioni di salute. Padre Sinott è stato operato al cuore lo scorso mese di luglio... R.
- So che non sta molto bene, a parte la sua età. Quindi, il mio appello ai leader
che sanno qualcosa è di considerare questo caso. Come al solito, c’è da ritenere che
nelle prime settimane non ci saranno notizie, poi arriveranno le prime notizie e quindi
diverse persone si offriranno per negoziare. In questo caso, le cose dovrebbero andare
più in fretta, perché lui ha una certa età e non sta bene. D.
- Padre, il fondamentalismo islamico non è la causa di questo rapimento? R.
- Si potrebbe dire che il fondamentalismo islamico vada scartato nel senso generale.
Ci sono questi gruppi che alla fine operano senza nessun senso di coscienza: purtroppo,
ultimamente ci sono stati diversi casi di preti uccisi, rapiti o altro. D.
- Come si convive con la paura? R. - Io sono qui da tanto tempo.
Ci si abitua. Diventa una cosa normale. Sappiamo che può succedere anche a noi - può
succedere anche a me - e ci si mette nella condizione di fare la volontà di Dio. Si
dice: “Quello che Dio vuole. Io faccio la mia missione”. La gente poi in qualche modo
apprezza, perché dice: “Questa persona sta con noi”. Quindi, offre una grande testimonianza.
Vale la pena stare qui, anche per gli altri, che sono "disturbati" da questa situazione.