Migliorare la sanità in Africa per sviluppare il continente: ne hanno parlato i Padri
sinodali riuniti in Vaticano. Intervista coi cardinali Turkson ed Erdo
La Chiesa-famiglia di Dio in Africa deve essere trasformata dal di dentro e deve trasformare
il continente: così il card. Peter Turkson ha tracciato un primo bilancio del secondo
Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione,
la giustizia e la pace. Nella sua “Relazione dopo la discussione”, il Relatore generale
del Sinodo ha riassunto i principali temi emersi finora in Aula ed ha dettato le linee-guida
sulle quali lavoreranno i Circoli minori, in vista dei documenti finali del Sinodo.
Il servizio di Isabella Piro: Il servizio di Isabella Piro:
La vita
è sacra, dal concepimento fino alla morte naturale e la Chiesa ha il compito di intervenire
in sua difesa. Parlano chiaramente i Padri sinodali di fronte ad un’Africa attanagliata
da Aids, malaria, tubercolosi. Chiedono un accesso equo e globale alle cure mediche,
ricordano l’importanza di formare gli operatori pastorali sulle questioni bioetiche,
plaudono all’impegno interreligioso ed ecumenico per fronteggiare le pandemie.
Ma
sono amare le pagine dell’Africa sulla sanità: vi si legge il dramma dell’aborto,
della prostituzione, della promiscuità sessuale diffusa dal relativismo. E poi la
piaga della vendita di medicinali non approvati nei Paesi di produzione, ma diffusi
in Africa. Le proprietà curative di tali farmaci spesso non sono state provate, ma
vengono venduti al continente africano in via sperimentale. I dosaggi, però, sono
pericolosi e spesso se ne ignorano le conseguenze.
Un’altra
denuncia che arriva dal Sinodo riguarda i bambini-soldato, soprattutto in Uganda:
20 mila o 30 mila, nessuno sa con certezza quanti siano i minori costretti alla guerra,
che diventano schiavi delle armi e dello sfruttamento sessuale, soffrono la fame,
non ricevono istruzione né cure mediche. La loro difesa, allora, passa attraverso
un’etica consistente che la Chiesa deve promulgare guardando alla Bibbia.
Altro
scenario tragico quello del Ciad, dove la riconciliazione sembra possibile solo a
colpi di denaro e diventa un mercanteggiare. In questo contesto, forse un concordato
tra il Paese e la Santa Sede, suggerisce il Sinodo, potrebbe aiutare a rafforzare
l’autorità della Chiesa locale che si adopera per la pace.
Dal
fronte giovani, invece, arrivano notizie incoraggianti: la pratica delle Giornate
nazionali della Gioventù sembra diffusa, in Africa, e i ragazzi diventano testimoni
di una riconciliazione che oltrepassa i confini geografici, le razze le culture.
Quindi,
i Padri Sinodali si soffermano sul dialogo con l’Islam e sottolineano che esso può
essere conseguito attraverso la carità: anche i musulmani, infatti, credono al Dio
della carità. E nell’ambito di questa missione di concretizzazione della carità divina,
diventa indispensabile operare perché la libertà religiosa sia diffusa in tutto il
mondo musulmano.
E ancora: il Sinodo si sofferma
sullo sfruttamento minerario delle risorse naturali dell’Africa da parte delle multinazionali
straniere. La Chiesa, dice, non può rimanere in silenzio di fronte a questo fatto
che fomenta i conflitti interetnici e la vendita delle armi. Poi, un appello per i
lavoratori cinesi che operano in tutta l’Africa, per i quali il Sinodo chiede una
pastorale migrante per favorire la loro evangelizzazione.
Infine,
il richiamo dei presuli è all’autofinanziamento delle Chiese particolari in Africa,
così da interrompere la dipendenza dall’Occidente.
Ieri
pomeriggio, invece, l’Aula Sinodale ha visto l’intervento di Jacques Diouf. Il direttore
generale della Fao si è rivolto a Benedetto XVI e ai Padri Sinodali in veste di Invitato
Speciale. "La sécurité alimentaire est
indispensable à la réduction de la pauvreté…" La sicurezza
alimentare è indispensabile, ha detto, alla riduzione della povertà, all’educazione
dei bambini, alla salute della popolazione, ma anche ad una crescita economica duratura.
Essa, ha aggiunto, condiziona la stabilità e la sicurezza del mondo.
Diouf
ha poi ricordato le tante risorse naturali dell’Africa, ribadendo che esse vanno messe
al servizio dell’emancipazione economica della popolazione. Poi, i dati drammatici:
a causa della crisi economica mondiale, l’insicurezza alimentare è cresciuta ed oggi
in Africa il 24% della gente è malnutrita, con un aumento del 12% rispetto allo scorso
anno.
Quale soluzione cercare, dunque? Diouf ne
ha indicate alcune, come migliorare le infrastrutture, incoraggiare il commercio interregionale,
guardare ad un codice internazionale di buona condotta sugli investimenti stranieri
diretti all’agricoltura.
"Un monde libéré de la faim est possible…" Un
mondo libero dalla fame è possibile, ha detto ancora Diouf, se esiste una volontà
politica agli alti livelli, citando poi gli esempi del Cameroun, dell’Etiopia, del
Ghana che hanno ridotto questa piaga.
E ancora, il direttore generale
della Fao si è detto soddisfatto dei risultati dell’ultimo G8, che ha visto lo stanziamento
di 21 miliardi di dollari in tre anni per la sicurezza alimentare.
"Je
veux aussi rendre hommage à l’action de l’Église sur le terrain à côté des plus pauvres…" Infine,
Diouf, di religione islamica, ha reso omaggio alla Chiesa, ai missionari, ai religiosi
per il loro impegno attivo a fianco dei più poveri ed ha sottolineato la sintonia
tra la Chiesa cattolica e l’Islam sul diritto all’alimentazione.
Nel pomeriggio,
i lavori del Sinodo proseguiranno con la “Relazione dopo la discussione” del relatore
generale, il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente dell’Associazione
delle Conferenze episcopali dell’Africa Occidentale. Al microfono di Paolo Ondarza,
il porporato parla dell’impegno assunto dalle chiese africane, dopo il sinodo del
1994, in favore della formazione dei laici:
R. - Il Sinodo
per l'Africa ci ha invitato a considerare la Chiesa come famiglia di Dio. Questa è
stata una delle grandi cose che il Sinodo ha lasciato alla Chiesa: pensare alla Chiesa
come ad una famiglia che è esistita nel passato, con gli antenati, ed esiste nel presente
e nel futuro, con i bambini che devono nascere. Ma ciò che è cambiato, nel frattempo,
è stato il fatto che parecchi Paesi e Chiese locali per fare questo lavoro, questo
compito di inculturazione, hanno dovuto cominciare a formare esperti. Non si può parlare
di inculturazione senza esperti, geologi, glottologi, esperti del genere per fare
questo lavoro. Parecchi hanno anche stabilito centri di studio in modo da dare ai
laici e ai religiosi la possibilità di approfondire la loro stessa conoscenza della
Chiesa e li hanno convinti a considerarsi responsabili per la Chiesa. In inglese c’è
un’espressione molto bella - “they need to own the Church” - dove si parla di gente
che deve considerare la Chiesa come propria, non solo dei preti e dei vescovi: loro
non fanno la Chiesa, la Chiesa siamo noi.
D. - Questa
è la premessa per essere sale e luce in Africa?
R.
- Certo, considerando il ruolo che dobbiamo svolgere come un tipo di testimonianza,
si finisce per adottare la presentazione di Giovanni Paolo II, che parlando ai laici
dell’Africa dice che devono cercare di fare qualche differenza nell’ambiente in cui
si trovano. Quelle due metafore sono molto potenti: il “sale” introduce la differenza
e nel processo si perde; la “luce” illumina e poi nel processo pure si perde. Diventano
come immagini di passione, come la passione di Gesù. Se gli africani amano la loro
società e vogliono creare la Chiesa come famiglia di Dio, dimenticando tutti gli abusi
del potere, abusi che hanno sofferto a causa dei politici, dei militari… Si deve dimenticare,
si deve perdonare. Questa esperienza è un’esperienza di sale e luce. Si deve rinunciare
a qualcosa per stabilire la comunione e i buoni rapporti fra la gente. Questo invito
è suggerito a noi da queste due immagini.
D. - Al
Sinodo si è anche molto parlato delle economie africane e dei principali problemi,
delle lacune che presentano…
R. - Quasi tutti i Paesi
africani sono deboli nel settore secondario, quindi non nella produzione delle cose
primarie, ma in quella secondaria che è l’industria. E’ lì che tutti i Paesi in Africa
sono deboli. Quando non c’è l’industria, vuol dire che mancano i posti di lavoro e
non cresce l'economia. Questo è il problema che dobbiamo affrontare in questi giorni.
Nei
giorni scorsi è intervenuto al Sinodo per l'Africa anche il cardinale Péter
Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d'Ungheria, che si sofferma
sul valore dell'assise sinodale nei confronti della Chiesa universale e su alcune
questioni della Chiesa unghrese. Le parole del porporato nell'intervista di Marta
Vertse, incaricata del programma ungherese della Radio Vaticana: R.
- E' emerso il pensiero della responsabilità speciale di questo Sinodo, perché la
riconciliazione, la promozione della giustizia e della pace, come funzione profetica
della Chiesa, non sono soltanto una questione africana. Ma su questo punto l’Africa
- per la sua situazione storica - può dare un insegnamento di valore universale, può
contribuire all’insegnamento pontificio diretto alla Chiesa universale, verso tutti
gli uomini di buona volontà. Ci sono le trappole del male, ci sono dei circoli quasi
diabolici del peccato strutturale, come l’odio, l’ingiustizia, lo sfruttamento dei
poveri, le vendette etniche, nazionali… Davvero, questo peso nel contesto della globalizzazione
si sente ormai in tutti i continenti. Quindi, siamo in ferma comunione con l’Africa
e ascoltiamo con interesse la voce dei confratelli africani.
D.
- Eminenza, la Conferenza episcopale ungherese recentemente ha emanato un documento
col quale richiama l’attenzione al pericolo rappresentato dal neopaganesimo in Ungheria.
Che cosa significa questa minaccia?
R. - Anche questa
questione è ormai globale: basta vedere ciò che accade in alcuni Paesi dell’America
Latina o anche in diversi Paesi della vecchia Europa. Ci sono alcuni che cercano di
ricostruire forme di paganesimo per farne una ideologia etnocentrica, se non proprio
nazionalista, che da una parte presenta la Chiesa cristiana - o la Chiesa cattolica
- come nemico della cultura nazionale e come una forza che ha distrutto qualcosa di
molto prezioso, che era il paganesimo. In particolare, la religione cristiana si è
dimostrata abbastanza aperta all’eredità culturale delle singole nazioni. Ma, a parte
questa verità storica, c’è anche un punto attualmente delicato ed è che queste forme
di paganesimo sono molto spesso ostili ad altri popoli, ad altri gruppi. Quindi, invece
di rafforzare la solidarietà e la riconciliazione possono creare nuove tensioni e
nuovi conflitti. Naturalmente, noi vescovi siamo responsabili della verità del Vangelo.
Proprio nel crollo culturale attuale, alle generazioni giovani cominciano a mancare
le giuste categorie, anche storiche. Per questo, bisogna essere responsabili anche
per quanto riguarda la verità storica e bisogna promuovere soprattutto tra noi, nelle
nostre comunità, la coscienza dell’identità cattolica, della fede cristiana e la differenza
tra fede cristiana e paganesimo. Quindi, è un dovere di informazione che hanno i vescovi,
che hanno i pastori della Chiesa.