Nulla di fatto per la missione diplomatica Usa in Medio Oriente
“Occorrono atti concreti per il rilancio dei negoziati di pace in Medio Oriente”.
Sono le parole dell’inviato speciale statunitense per la regione, George Mitchell,
dopo il sostanziale nulla di fatto della sua missione a Gerusalemme. Alle parole del
rappresentante di Washington fa riscontro il pessimismo della diplomazia egiziana
che parla di tempi lunghi per la ripresa del dialogo. A fare da sfondo alla situazione
di stallo la mancata riunificazione tra i palestinesi. Di questi temi Giancarlo
La Vella ha parlato con Maria Grazia Enardu, esperta di Medio Oriente,
docente di Storia delle relazioni Internazionali all’Università di Firenze:
R. – La missione
di Mitchell non ha avuto successo e, per di più, nei giorni in cui Gerusalemme era
molto animata da manifestazioni contro la crescita della presenza ebraica, soprattutto
nella città orientale. Il vero punto, però, lo farà la signora Clinton tra una settimana,
quando, secondo quanto stabilito un mese fa durante il summit a tre a Washington tra
Obama, Nethanyau e Abu Mazen, si era detto che, tempo un mese, il segretario di Stato
americano avrebbe fatto una ricognizione e presentato un rapporto. Dal linguaggio
e dal contenuto di questo rapporto si vedrà se gli americani considerano totalmente
ferma la situazione o se prevedono qualche ulteriore passo. D.
– Quanto stanno influendo sulla situazione le questioni interne sia israeliana che
palestinese? R. – I palestinesi dovrebbero sulla carta fare
a gennaio elezioni sia per il Parlamento, sia per il presidente. Ma di queste consultazioni
non si parla, il che è molto preoccupante. Da parte israeliana, al governo c’è una
coalizione di destra che, se facesse passi concreti verso la parte palestinese, automaticamente
andrebbe in crisi. Quindi, c’è una sorta di doppia paralisi su due fronti. Molto attivo
in questi giorni e molto preoccupato è stato re Abdallahdi Giordania,
che ha avvisato il governo israeliano che la situazione sta veramente sfuggendo di
mano e, soprattutto, ha detto che c’è il rischio che la Lega Araba ritiri il piano
di pace che prevede il pieno riconoscimento di Israele da parte di tutti i Paesi arabi,
purché ritorni ai confini del ’67. D. – Siamo abituati ad una
comunità internazionale sempre molto presente nelle questioni israelo-palestinesi.
Possiamo dire che oggi c’è una maggiore unità, su posizioni favorevoli ad una distensione
nella regione mediorientale? R. – Direi che c’è soprattutto
un maggior frastagliamento. La comunità internazionale guarda allo stesso tempo con
attenzione e con scetticismo. E all’interno di essa ci sono attori che stanno avviando
una nuova politica. Ad esempio, la Turchia, Paese musulmano non arabo e da sempre
amico d’Israele, sta mostrando grande freddezza verso Israele, sia annullando esercitazioni
militari congiunte, sia anche rompendo un certo fronte del no e mettendosi d’accordo
con gli armeni, certo con un’intesa che poi va verificata all’atto pratico. Comunque
questo atteggiamento turco in Israele sta provocando grandissime preoccupazioni.