2009-10-07 14:34:38

Violenze anticristiane e rispetto dei migranti al centro del Sinodo. Intervista col vicario apostolico di Tripoli


È entrato nel vivo il secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione, della giustizia e della pace. Oggi, prima sessione di lavoro per i Circoli minori. In mattinata, inoltre, una delegazione dei Padri Sinodali si è recata in Campidoglio per un incontro con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Ieri pomeriggio, intanto, i lavori del Sinodo sono proseguiti con la quarta Congregazione generale. Numerosi i temi emersi dall’Aula, come le violenze contro i cristiani, la necessità di una “conversione ecologica” dell’Africa e il problema delle migrazioni. Ce ne parla Isabella Piro:RealAudioMP3

Una sessione pomeridiana punteggiata da diversi applausi, quella di ieri pomeriggio: applausi di solidarietà, incoraggiamento, approvazione di temi più sentiti, emersi dai lavori. Ad aprire la seduta, la testimonianza toccante della Repubblica Democratica del Congo, dove alcune parrocchie hanno subito attacchi ed atti di intimidazione. Gesti con i quali, si è detto in Aula, si vorrebbe ridurre al silenzio la Chiesa, l’unico sostegno di un popolo terrorizzato, umiliato e sfruttato.

 
Poi, il grande tema dei rapporti con le sètte: una sfida urgente da affrontare anche con autocritica, hanno ribadito i Padri Sinodali, cercando di capire cosa non è sufficiente nel lavoro pastorale. Auspicato anche un nuovo slancio nelle relazioni ecumeniche e una comprensione specifica delle espressioni culturali africane.

 
Quindi, l’Aula del Sinodo ha lanciato un appello perché la Chiesa in Africa susciti una “conversione ecologica” attraverso l’educazione, così che il Paese non sia più vittima dello sfruttamento petrolifero, della deforestazione, dello smaltimento dei rifiuti tossici. Centrale anche la necessità di una formazione sacerdotale adeguata, che punti al passaggio dal “dialogo tra le culture” alla “cultura del dialogo”.

 
E ancora, l’incoraggiamento ai laici, che possono fare da “interfaccia” evangelizzatrice tra la Chiesa e il mondo, e il sostegno ai Tribunali Penali Internazionali, affinché ristabiliscano giustizia e pace sulla base della verità. Perché, come diceva Giovanni Paolo II, “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Da segnalare, inoltre, l’auspicio che l’Unione Africana includa un rappresentante permanente della Santa Sede e un osservatore del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar.

 
Infine, la pagina tragica dei migranti, degli sfollati, dei richiedenti asilo, una realtà che in Africa riguarda più di dieci milioni di persone, vittime di sfruttamento e del disprezzo dei diritti umani. Molte di esse vanno in Libia, Paese-ponte verso l’Europa, ma poi spesso rimangono nell’illegalità, sono vittime di sfruttamento sessuale, rischiano il carcere, non hanno accesso all’assistenza legale e sanitaria, Di qui, la speranza che il Sinodo studi le cause che sono alla base del traffico di esseri umani, del dramma dei “barconi”, per dimostrare al mondo che la vita degli africani è sacra, e non è priva di valore, come invece viene presentata da molti mass media.

 
Sul dramma degli immigrati africani, che come abbiamo detto riguarda oltre dieci milioni di persone, ieri al Sinodo è intervenuto mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tabuda e vicario apostolico di Tripoli, in Libia. Paolo Ondarza lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Noi siamo testimoni di una presenza di immigrati che vengono da tutte le parti dell’Africa. Non voglio entrare in merito ai respingimenti, ma ho sottolineato più volte l’importanza di non rifiutarli, di assisterli almeno in Libia, perché rigettarli e disinteressarsi di loro è contro i diritti dell’uomo ed è anche contro la nostra civiltà umana, cristiana o quello che sia.

 
D. – Qual è l’azione di soccorso della Chiesa in Libia verso queste persone?

 
R. – Noi, nel nostro piccolo, in Libia, cerchiamo di seguire questa massa di gente nei centri di raccolta, dove i libici danno possibilità di incontrarla, di visitarla, di assisterla spiritualmente e pastoralmente. Lo facciamo per i cristiani, ma anche per tutti gli altri, e ce ne sono tanti. Noi cerchiamo di assisterli sul piano materiale, offrendo da mangiare. Abbiamo assistito persone, portando coperte e vestiti, e le abbiamo assistite soprattutto sul piano medico. Settimanalmente le nostre suore si interessano di tante donne gestanti e devono, quindi, essere accompagnate all’ospedale. Non hanno documenti e la suora offre il proprio passaporto, si prende cura di loro, cercando di assisterle, affinché possano dare alla luce i loro bambini. Hanno attraversato il deserto e sono persone veramente povere. Mi riferisco in particolare a questa massa di eritrei che arriva in Libia, decisa a non ritornare nel proprio Paese, ma piuttosto ad essere accolta in Occidente.

 
D. – Quante delle persone respinte, da quello che lei ha potuto conoscere e sapere, sono richiedenti asilo?

 
R. – Non sono in grado di capire se tutta questa gente ha diritto di avere asilo politico o meno. Io non guardo in faccia le persone. Vedo che hanno bisogno di mangiare, hanno bisogno di essere curate. Non vedo se hanno diritto o non hanno diritto. Io vedo gente che ha bisogno. Non domandiamo niente: hanno bisogno e quindi diamo. Se c’è qualcuno che riusciamo a capire che vuole ritornare al proprio Paese, lo accompagniamo agli uffici competenti. Accompagniamo le altre persone all’ufficio delle Nazioni Unite per avere una carta delle Nazioni Unite, la carta di rifugiato, che è un documento di identità, che come ben si sa non è riconosciuto dalla Libia. Questo forse potrebbe essere un appello: facciamo in modo che abbiano un documento che sia riconosciuto, accettato anche dalle autorità libiche. Allora, mi domando, come fare, perché questa gente possa avere un documento per farsi valere nella propria identità.







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