La preghiera del Papa per l'ottobre missionario: i cristiani considerino l'annuncio
del Vangelo il più alto servizio offerto all'umanità
L’intenzione missionaria di Benedetto XVI per il mese di ottobre 2009 - mese tradizionalmente
dedicato all’attività apostolica - esprime l’auspicio che “tutto il Popolo di Dio,
a cui è stato affidato da Cristo il mandato di andare e predicare il Vangelo ad ogni
creatura, assuma con impegno la propria responsabilità missionaria e la consideri
come il più alto servizio che può offrire all’umanità”. Un pensiero che in questi
anni di Pontificato, Benedetto XVI ha declinato in molti dei suoi aspetti, come ricorda
in questo servizio Alessandro De Carolis:
“Guai a me
se non evangelizzo”. Il monito che San Paolo rivolge a se stesso nella prima lettera
indirizzata ai cristiani di Corinto conserva da venti secoli una straordinaria forza
propulsiva. La stessa forza che ha permesso al Messaggio di Cristo di raggiungere
deserti, foreste e ghiacci agli antipodi della Galilea e della Giudea dove risuonò
per la prima volta, di inculturarsi in Paesi lontanissimi dalla sensibilità cristiana,
di trasformare con inesauribile costanza donne e uomini di ogni epoca in testimoni
coraggiosi o geniali, popolari o sconosciuti, della medesima Buona Notizia. Benedetto
XVI, al pari dei suoi predecessori del ventesimo secolo, ha sviluppato questa pagina
specifica del suo magistero in sintonia con l’intuizione di Pio XI, “inventore” 83
anni fa della Giornata missionaria mondiale. Era il 1926, l’anno dell'Enciclica missionaria
Rerum Ecclesiae, con la quale Papa Ratti incoraggiava la cristianità a collaborare
per la "ricostruzione" delle missioni distrutte nel corso della Prima Guerra Mondiale.
A partire da “La carità anima della missione” del
2006 - titolo del primo dei quattro Messaggi dedicati finora alla Giornata missionaria
mondiale che portano la sua firma - Benedetto XVI ha tenuto a ribadire un concetto
di fondo: non c’è missione senza carità, perché “la missione parte dal cuore”. “Il
fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili tra loro. Dove portiamo
agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo
troppo poco”, aveva affermato il 10 settembre 2006 da Monaco. Un mese più tardi,
domenica 22 ottobre 2006, in uno degli Angelus di quell’ottobre missionario, completa:
“In
effetti, la missione, se non è animata dall’amore, si riduce ad attività filantropica
e sociale. Per i cristiani, invece, valgono le parole dell’apostolo Paolo: 'L’amore
del Cristo ci spinge'. (…) Ogni battezzato, come tralcio unito alla vite, può così
cooperare alla missione di Gesù, che si riassume in questo: recare ad ogni persona
la buona notizia che ‘Dio è amore’ e, proprio per questo, vuole salvare il mondo”.
Il “coraggio” e la “gioia” distinguono il cristiano che
ha deciso di diventare annunciatore del Vangelo. Se esiste questo corredo, non c’è
ambito della vita sociale, civile, lavorativa, vocazionale che non possa essere rinnovato
dalle parole di Cristo, testimoniate prima ancora che annunciate:
“La
missione è dunque un cantiere nel quale c’è posto per tutti: per chi si impegna a
realizzare nella propria famiglia il Regno di Dio; per chi vive con spirito cristiano
il lavoro professionale; per chi si consacra totalmente al Signore; per chi segue
Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico,
parte per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono”. Nel
Messaggio 2007, Benedetto XVI esorta “Tutte le Chiese” ad essere “per tutto il mondo”.
E all’Angelus del 21 ottobre, in Piazza Plebiscito a Napoli dov’è in visita pastorale,
spiega: “Ogni Chiesa particolare è corresponsabile dell’evangelizzazione dell’intera
umanità”. Ciò significa, ripete, che a chi vive la missione in prima linea – e per
questo affronta spesso gravi difficoltà e perfino persecuzioni - non deve mancare
“il sostegno spirituale e materiale” di tutti gli altri credenti. Del resto - aggiunge
idealmente il Papa all’Angelus del 19 ottobre 2008 da Pompei - “il primo impegno missionario
di ciascuno di noi è proprio la preghiera”: “E’ innanzitutto
pregando che si prepara la via al Vangelo; è pregando che si aprono i cuori al mistero
di Dio e si dispongono gli animi ad accogliere la sua Parola di salvezza”. Qualche
mese prima, il 17 maggio, ricevendo in udienza i partecipanti all’Incontro del consiglio
superiore delle Pontificie Opere Missionarie, Benedetto XVI aveva ripreso uno dei
cardini della coscienza missionaria della Chiesa e di ogni cristiano - quello del
diritto-dovere dell’annuncio di Cristo - mettendone in risalto le ricadute non solo
spirituali:
“Questo impegno apostolico è un dovere
ed anche un diritto irrinunciabile, espressione propria della libertà religiosa, che
ha le sue corrispondenti dimensioni etico-sociali ed etico-politiche”. Senza
dimenticare che tale diritto è sempre stato inteso dalla Chiesa anche dal versante
di chi l’annuncio lo riceve. Nella Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina
della fede su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, presentata il 14 dicembre 2007,
si ricorda questa celebre frase di Giovanni Paolo II contenuta nell’Enciclica Redemptoris
Missio: “Ogni persona ha il diritto di udire la ‘buona novella’ di Dio che
si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione”.