La strage nella Guinea Conakry: il nunzio, mons. Krebs: inascoltato l'appello della
Chiesa alla calma
E' finita in un bagno di sangue, nello stadio della capitale della Guinea, una manifestazione
non autorizzata dell'opposizione, organizzata ieri per protestare contro la giunta
militare, salita al potere nove mesi fa con un colpo di stato. L'ultimo bilancio provvisorio
parla di 128 morti. L'esercito è intervenuto in forze per reprimere le proteste, ha
sparato ad altezza d'uomo, ha ucciso decine di persone e ne ha ferite un numero imprecisato.
Dura la condanna da parte degli organismi internazionali. Il segretario dell’Onu,
Ban ki-moon, lancia un monito a tutti i partiti ad impegnarsi in un processo di transizione
pacifico. Ma qual è la situazione a Conacry in queste ore? Salvatore Sabatino
lo ha chiesto a Mons. Martin Krebs, nunzio apostolico in Guinea Conakry:
R. - Ieri,
era il giorno della violenza. Avete sentito, tra le notizie, che ci sono molti morti
e tanti feriti. Oggi non si sa, si attende che l'ondata di violenza si spenga. Abbiamo
la speranza che qualcuno ritorni alla ragione, ma queste sono cose che non si prevedono.
La violenza ha una dinamica propria. Aspettiamo. D. - La tensione
era alta già da diverso tempo… R. - La tensione era alta sin
dalla presa di potere del regime militare, nel dicembre dell’anno scorso, e naturalmente
è aumentata in queste ultime settimane. Nei giorni precedenti al 28 settembre, c’era
forte tensione e le Chiese - come anche le altre comunità religiose - hanno fatto
chiamato alla calma, attraverso un appello che purtroppo non è stato ascoltato. D.
- Sono giunti messaggi preoccupati anche dalle principali cancellerie internazionali:
come sono stati accolti dalla popolazione? R. - E’ difficile
giudicare, perché la popolazione di per sé è inerme: cosa si può fare contro quelli
che portano armi? Da una parte c’è un certo fatalismo, ma dall’altra c’è una rabbia
incredibile che cerca di esprimersi. Anche questo è un mistero, non si può prevedere,
si è lì in attesa. D. - Vuole lanciare un messaggio? R.
- L’importante è non dimenticare i Paesi come questo che rischiano appunto di essere
dimenticati. Un giorno le notizie sulle violenze appaiono tra le notizie internazionali,
ma subito dopo spariscono perché questo non è un Paese che può contribuire molto all’interesse
di chi guarda. Non dobbiamo dimenticarci di questo. Poi, chi è davvero interessato
troverà dei canali per aiutare e tenere vivo l’interesse per questo Paese.