Nel pomeriggio, l'incontro di Benedetto XVI con il Consiglio ecumenico ceco. Con noi,
mons. Radkovský
Questo pomeriggio il Papa incontrerà all’arcivescovado di Praga gli esponenti del
Consiglio ecumenico della Repubblica Ceca. Subito dopo si terrà nel Castello di Praga
l’incontro col mondo accademico. A salutare il Papa saranno il rettore magnifico e
uno studente della celebre università fondata nel 1348 dall’imperatore Carlo IV: si
tratta del più antico ateneo dell’Europa centrale. Praga è sempre stata un vivacissimo
centro culturale: è tuttavia molto diffuso l’ateismo. Di fronte a questa situazione
quali sono i rapporti tra i cattolici, che sono circa il 30% della popolazione ceca,
e le altre confessioni cristiane che toccano il 7%? Sergio Centofanti lo ha
chiesto al vescovo di Plzeň, mons. František Radkovský, responsabile per l’ecumenismo
della Conferenza episcopale ceca:
R. – Sono
molto buoni, perché adesso è chiaro per tutti i cristiani che collaborare è molto
importante. Si dice che siamo una società, una nazione atea: il 20% circa delle persone
si dichiarano atee, un altro 20% invece sono – si può dire – gli indecisi, cioè non
appartengono ad alcuna religione. Per quanto riguarda l’ecumenismo, Chiesa cattolica,
Chiesa evangelica, Fratelli boemi, Chiesa nazionale hussita e Chiesa evangelica della
Slesia riconoscono reciprocamente il Sacramento del Battesimo. Un’altra cosa che condividiamo
è l’accordo tra Stato e Chiese sulla presenza dei cappellani nelle Forze armate, nelle
prigioni e negli ospedali. Queste sono cose molto pratiche. Abbiamo collaborato positivamente
anche nelle trattative tra Stato e Chiese sui beni che sono stati tolti alle varie
comunità ecclesiali dal regime comunista. Questo accordo però non è stato accolto
favorevolmente dal Parlamento, ma è stato un segno di unità tra tutte le Chiese. Si
vede che anche a livello pratico ci sono delle azioni comuni molto incoraggianti.
D.
– Sono state quindi risanate le ferite del tempo di Hus?
R.
– Sicuro, anche se in fondo qualcosa rimane. Posso però dire che queste ferite si
stanno risanando sempre di più.