Le attese e le speranze del Sinodo per l'Africa, nelle parole del Segretario Generale,
mons. Nikola Eterović
Le attese e le speranze del secondo Sinodo speciale per l'Africa, che si svolgerà
in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Ma anche l'eredità della prima Assemblea Sinodale
dedicata a questo continente nel 1994, così come l'importanza del dialogo ecumenico
ed interreligioso e la percezione del Sinodo nei mass media e nell'opione pubblica.
Questi gli argomenti analizzati dal Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, mons.
Nikola Eterović, in questa intervista realizzata da Isabella Piro
D.
Perché un secondo Sinodo per l’Africa?
R. Era un’esigenza dei Vescovi
in Africa, delle Conferenze episcopali che il Santo Padre ha volentieri accolto –
parliamo del Servo di Dio Giovanni Paolo II che era disposto a riunire i Vescovi africani
per la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il Santo Padre
Benedetto XVI ha confermato questo desiderio che è anche una necessità pastorale e
fra qualche giorno comincerà questa Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo
dei Vescovi.
D. Riconciliazione, giustizia e pace: è questo il tema
del Sinodo. Perché questa scelta?
R. Bisogna allargare un po’ il tema,
che è esattamente “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia
e della pace. Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”. Il tema
è importante, in quanto fa riferimento alla prima Assemblea Speciale per l’Africa
del Sinodo dei Vescovi, che ha avuto luogo 15 anni fa, e anche al documento Ecclesia
in Africa, l’Esortazione Apostolica post-sinodale in cui sono raccolti i risultati
della prima Assemblea. È un grande documento che è un punto di riferimento per la
Chiesa pellegrina in Africa. E la seconda Assemblea Sinodale vuole, tenendo presente
questo quadro generale, approfondire il tema della riconciliazione, della giustizia
e della pace. Sono temi che sono stati trattati anche nella prima Assemblea, ma che
adesso i Padri Sinodali vogliono approfondire perché è un’esigenza pastorale e, possiamo
dire, anche del servizio della Chiesa per il bene di tutti gli uomini di buona volontà,
per le società di tutti i Paesi di tutto il Continente.
D. Abbiamo
citato il primo Sinodo speciale per l’Africa. Quale eredità ha lasciato?
R.
Una grande eredità, è stato veramente una decisione, un’intuizione profetica del Servo
di Dio Giovanni Paolo II che aveva, come scopo, quello di preparare la Chiesa in Africa,
e anche in altri continenti, al grande Giubileo del 2000. Ed è bene che, dopo questa
preparazione, questo iter-pellegrinaggio che è culminato nel 2000, la Chiesa in Africa,
per mezzo dei suoi qualificati rappresentanti, si riunisca di nuovo con il Vescovo
di Roma, Pastore Universale della Chiesa, per ringraziare Dio per i grandi doni che
ha elargito sulla Chiesa cattolica in Africa. È una Chiesa che ha conosciuto un impressionante
dinamismo apostolico: lo si vede dai dati statistici che veramente impressionano.
Una Chiesa che vuole anche riflettere sull’attuale momento storico, ecclesiale, sull’attività
pastorale, esaminare anche le linee-guida di questa attività anche per aumentare ancora
di più l’opera di evangelizzazione e di promozione umana. La Chiesa ha sempre, come
priorità, l’annuncio del Vangelo, l’evangelizzazione, ovviamente dappertutto e in
modo particolare in Africa. L’evangelizzazione è, necessariamente, accompagnata dalla
promozione umana. Il Sinodo sarà anche un momento propizio per vedere quanto la Chiesa
fa in questo campo, soprattutto nell’educazione, nella salute e anche nella promozione
di vari progetti di sviluppo integrale della persona e della società.
D.
A questo proposito ricordiamo che l’Instrumentum Laboris, che il Santo Padre ha consegnato
nelle mani dei Vescovi Africani nel marzo scorso, durante il suo Viaggio apostolico
in Camerun e Angola, non è un documento solo ecclesiale…
R. È un documento
rivolto soprattutto ai Vescovi, è il risultato delle riflessioni delle Conferenze
episcopali - in Africa ne abbiamo 36 – più due Chiese Orientali cattoliche sui iuris,
più la gerarchia d’Egitto. Loro hanno contribuito, con le loro esperienze pastorali,
con le loro gioie, ma anche con le loro preoccupazioni e dolori, alla redazione dell’Instrumentum
Laboris, ovvero del documento di lavoro. Ma, ovviamente, i temi della riconciliazione,
della giustizia e della pace riguardano tutta la società. La Chiesa può offrire un
servizio prezioso, insostituibile in questi campi. La riconciliazione, come nucleo
di tutto il processo, richiede una comunità ecclesiale riconciliata: ogni persona
riconciliata con Dio e le persone riconciliate tra loro. Una Chiesa di persone riconciliate
può promuovere e annunciare la riconciliazione con credibilità, anche in tutto il
mondo, nelle società civili dei singoli Paesi. La Chiesa cattolica già lo fa: basta
ricordarsi delle Commissioni per la Riconciliazione che sono esistiti nei vari Paesi,
ma probabilmente dopo il Sinodo tale processo di riconciliazione sarà ancora più sentito
e promosso.
D. Il Sinodo è sempre stato un’opportunità per incrementare
il dialogo ecumenico ed interreligioso. Sarà così anche per l’Africa?
R.
Senz’altro, anche alla seconda Assemblea Speciale per l’Africa parteciperanno delegati
di sei Chiese e comunità ecclesiali che hanno una consistente presenza nel continente
africano. Noi siamo molto lieti della loro presenza, perché i cristiani hanno un comune
denominatore, hanno tanti punti in comune e anche sono chiamati a collaborare sempre
di più per risolvere le grandi sfide della Chiesa in Africa, in particolare nel campo
della riconciliazione, della giustizia e della pace. Noi sappiamo che la pace può
venire solo da una società riconciliata. Anche la giustizia può essere costruita solo
nelle società pacificate: dove c’è guerra, c’è posto per tutti i mali. Noi siamo coscienti,
anche dai dati che ci forniscono gli specialisti, che l’Africa è uno dei continenti
più ricchi di materie prime, dunque di tanti doni che il Signore ha dato agli africani.
Però, purtroppo, ci troviamo in un paradosso che, tra i 50 Paesi più poveri del mondo,
35 sono in Africa. Io penso che la Chiesa, anche se deve dare la priorità all’evangelizzazione,
alla Buona Novella, deve anche contribuire, come un lievito, nelle società, per promuovere
la giustizia e la pace.
D. A Suo parere, l’opinione pubblica che idea
ha dell’Africa? I mass media la conoscono davvero o ne parlano in modo un po’ stereotipato?
R.
Purtroppo, si ha un’idea parziale, forse anche troppo negativa dell’Africa perché
– almeno nei mass media occidentali – prevalgono notizie negative sul continente.
Invece, ci sono tante notizie positive: sì, ci sono anche i conflitti, le guerre,
ma, grazie a Dio, riguardano una piccola parte di Paesi. Altre nazioni hanno fatto
grandi progressi, si sono incamminate sulla strada della democrazia, dunque cercano
di promuovere la giustizia e la pace: possiamo citare il Ghana, la Liberia, la Costa
d’Avorio che, dopo gli scontri dei recenti anni, cerca, per mezzo del dialogo e con
l’aiuto della comunità internazionale, di trovare la pace. Speriamo che questo processo
si possa allargare anche ad altri Paesi, ad altre zone in cui purtroppo c’è ancora
violenza e guerra.
D. Eccellenza, un’ultima domanda: apparentemente,
la Chiesa Universale sembra ora concentrata solo sull’Africa. In realtà, non dimentica
mai le altre regioni diciamo più critiche, tanto è vero che si sta già lavorando per
il Sinodo per il Medio Oriente, in programma per il prossimo anno. Cosa possiamo dire
su questo appuntamento?
R. La Chiesa è universale e si preoccupa di
tutte le parti del mondo. Io penso che giustamente la Chiesa deve guardare all’Africa.
Grazie a Dio, è uno sguardo ottimista: ci sono problemi, possiamo parlare di problemi
di crescita, ma c’è una realtà molto promettente di gioventù, di gioia, di entusiasmo
che può anche contribuire a vincere certe stanchezze che si ritrovano in alcune comunità
ecclesiali della “vecchia” – possiamo dire – cristianità. E la gioia di vivere, la
gioia di essere cristiani, la gioia della testimonianza può provenire anche dalle
giovani Chiese dell’Africa e già lo stiamo sperimentando con l’arrivo – in Africa
ma anche nel mondo – di missionari che vengono che provengono dall’Africa. È un fenomeno
nuovo. Grazie a Dio, questo mostra la maturità della Chiesa cattolica in Africa, un
Paese che ha molte vocazioni. Gli stessi africani diventano missionari in altre zone,
in altri Paesi in cui mancano le vocazioni sacerdotali. Inoltre, grazie agli accordi
tra i diversi vescovi, i sacerdoti africani già vengono anche nei Paesi dell’Europa,
degli Stati Uniti ecc. da dove, decenni fa, partivano missionari per l’Africa. E questo
è bello nella Chiesa: è uno scambio di doni. Si dà, ma anche si riceve.