Primo consiglio preparatorio in vista del Sinodo per il Medio Oriente in programma
in Vaticano nell’ottobre 2010. Con noi, mons. Twal
Due giorni di lavori, ieri e oggi presso la segreteria generale del Sinodo dei vescovi,
per mettere a punto la macchina organizzativa, che dovrà preparare l’agenda della
prossima assemblea speciale per il Medio Oriente. L’assise si terrà in Vaticano dal
10 al 24 ottobre del prossimo anno, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente:
comunione e testimonianza. La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva
un cuore solo e un’anima sola”. Il Papa stesso, nell’incontro con i Patriarchi orientali
di sabato scorso, ha annunciato l’evento, che vedrà riuniti i presuli di una delle
regioni più martoriate del mondo. In un’intervista concessa all’Osservatore Romano,
il segretario generale del Sinodo dei vescovi, mons. Nikola Eterovic, ha spiegato
che la riunione preparatoria è necessaria per porre in evidenza “le indicazioni di
Benedetto XVI sulle prospettive di dialogo per una convivenza pacifica in quella regione
tormentata, tenendo conto delle realtà dei singoli Paesi”. Sulla preparazione del
Sinodo per il Medio Oriente, Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Fouad
Twal, Patriarca di Gerusalemme dei Latini:
R. - Siamo
felici di questa convocazione del Sinodo per il Medio Oriente e considerando la situazione
che vivono i cristiani e che vive tutta la regione, anche i musulmani, gli ebrei,
anche noi abbiamo sentito il bisogno di mettere sul tavolo le nostre paure, le nostre
angosce, le nostre aspirazioni e magari alcune proposte per il futuro per confermare
i nostri fedeli nella loro fede, consolidare la loro presenza contro questa emorragia
umana dell’immigrazione. Sentiamo il bisogno di essere insieme alla Santa Sede, sotto
l’auspicio del Santo Padre, qui a Roma.
D. – Tutto
il Medio Oriente in questo momento è una terra di confronto, a volte anche aspro.
Può diventare terra di dialogo?
R. - E’ vero quello
che abbiamo considerato in questa commissione presinodale, di vedere questa dimensione
mondiale del Medio Oriente, questa dimensione interreligiosa, questa dimensione ecumenica.
Però la prima cosa tra noi cattolici di diversi riti è che dobbiamo essere in comunione
tra noi. Poi il dialogo con l’Islam, con Israele. Tanti sono i problemi che ci stanno
a cuore. Se facciamo partecipare al massimo i nostri fedeli, devono partecipare al
massimo ed essere coinvolti in questo movimento di rinnovamento, spero che si potrà
portare rimedio a tante angosce, tante paure, tanti ostacoli, tanti problemi che viviamo.
D. – Qual è il suo apporto personale che porterà
al Sinodo lei che vive nella Terra Santa, uno dei luoghi in cui più si soffre al mondo?
R.
– Noi siamo coscienti che siamo ancora una Chiesa del calvario, una Chiesa che porta
la croce e spesso ci pare che questo cammino di croce non abbia una fine. Veniamo
qui già feriti, sofferenti, però anche pieni di speranza, e dopo il passaggio del
Santo Padre da noi in Terra Santa in Giordania e in Palestina e in Israele, vengo
a chiedere anche la solidarietà e la preghiera di tutta la Chiesa universale esortando
le conferenze episcopali, i cristiani, a sentirci corresponsabili della comunità cristiana
che è rimasta in Terra Santa. E’ lo stesso appello che il Santo Padre ha fatto e che
non faccio che ripetere chiedendo più preghiere, più solidarietà, più vicinanza a
noi e sarete tutti benvenuti in Terra Santa! Speriamo che la Terra Santa non rimanga
per sempre una Terra di conflitto. Tocca noi dare tempo al tempo, non perdere mai
la speranza. Un giorno avremo la gioia di vivere in pace, di avere una vita normale.
Non chiediamo nessun privilegio. Vogliamo vivere come tutti gli altri popoli una vita
normale e questo non lo abbiamo ancora. Il Signore ce lo ha detto: se qualcuno vuole
seguirmi che porti la sua croce. Noi la portiamo, nella speranza che avremo un giorno
la gioia di vivere, la gioia di camminare e di avere una vita normale.