Il vangelo nell'incontro con la cultura tradizionale africana
Il rapporto tra la Chiesa e le culture tradizionali africane: è questo uno dei temi
centrali dell’imminente secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si svolgerà in
Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sul tema della riconciliazione, della giustizia e della
pace. L’inculturazione della Chiesa in Africa torna, dunque, ad essere materia di
riflessione per l’Assemblea episcopale, come lo fu già nel 1994, durante il primo
Sinodo dedicato a questo continente. La sfida, è quella di capire come conciliare
l’identità cristiana con quella africana. Alessandra De Gaetano ne ha parlato
con Jean Baptiste Sourou, autore del libro Come essere africani e cristiani?
Saggio sulla cultura del matrimonio in Africa. Ascolta un estratto dell'intervista:
D. - Come
nasce l’idea di questo libro?
R. - Questo libro risponde ad un’esigenza
anche personale, nel senso che, studiando teologia, vivendo le realtà concrete della
Chiesa in Italia, trovo sempre una domanda che io porto dentro di me: tutto questo
bagaglio culturale e spirituale che ricevo, come poterlo tradurre nella mia realtà
culturale? Perché io vivo in Europa, ma sono africano, prima di tutto. Quindi: come
fare affinché tutto quello che sto scoprendo possa entrare davvero a far parte di
me, come uomo del Benin, come uomo dell’Africa, affinché la mia cultura, che porto
con me già, possa essere tutt’uno con la fede che vado approfondendo, tramite gli
studi e tramite la ricerca.
D. - Come essere cristiani e africani
nella realtà Sahoué?
R. - Non è altro che cercare di essere, nello
stesso momento, fedele a quello che noi abbiamo come ricerca culturale, quello che
lo Spirito di Dio ha già seminato nella nostra cultura. Bisogna riconoscere, infatti,
che Dio ha dato ad ogni cultura delle cose meravigliose, che già ci aiutano a vivere,
ci aiutano ad esprimere il nostro rapporto con Dio, con i nostri fratelli, con la
realtà che ci circonda. Come fare, allora, perché tutto quello che c’è di bello nella
nostra cultura sahoué del Benin possa essere illuminata nuovamente dalla fede in Gesù
Cristo? È questa la realtà concreta. E, nello stesso tempo, se deve essere illuminata,
vuol dire che contiene qualcosa di buono. Ma sappiamo che tutto ciò che noi facciamo
e pensiamo, come uomini, non è sempre buono: ci sono delle debolezze, delle ombre.
L’auspicio, quindi, è che queste ombre vengano illuminate dalla luce di Gesù Cristo,
dalla sua Risurrezione e dal suo Vangelo per permetterci di andare oltre quello che
la cultura, umanamente parlando, non ci può dare per essere degli uomini realmente
e completamente realizzati.
D. - Quali sono i valori legati al matrimonio
nella tradizione sahoué?
R. – Ho scelto il tema del matrimonio perché,
per noi africani, il matrimonio e la famiglia sono dei valori molto importanti: Giovanni
Paolo II, nel documento post-sinodale “Ecclesia in Africa”, lo ha sottolineato fortemente.
Un valore è, ad esempio, l’importanza che il sahoué dà ai figli, al loro ruolo. Esiste
tutta una serie di proverbi che dice l’importanza del figlio. Un altro valore è il
rapporto tra marito e moglie e, soprattutto, la preparazione al matrimonio: c’è tutta
una serie di tappe che aiuta davvero i giovani sahoué del matrimonio. Quindi ci si
sente aiutati, sostenuti dalla famiglia, dal villaggio. Tutto il contesto sociale
aiuta e rinforza in te la convinzione della scelta che stai per fare. Per esempio:
presso i sahoué non puoi sposarti se non hai un lavoro, se non sei capace di dare
una dote a tua moglie. Non si tratta – come qualcuno potrebbe pensare – di una dote
data per comprare la moglie, non è così, ma è perché con questo tu dimostri a te stesso
e alla società che sei capace di fare qualcosa. Allora, quando sei capace di fare
qualcosa, qualcuno può dire: “Prendi in sposa mia figlia” e tu dimostri, anche davanti
alla società, che sei capace di assumerti le tue responsabilità, perché per un sahoué
avere una famiglia è assumersi una responsabilità. Un altro valore è anche il rapporto
tra le famiglie: il matrimonio diventa, per la famiglia di lui e quella di lei, un
momento per creare solidarietà. Cioè: le due famiglie finiscono per vivere una comunione
totale nei momenti belli, come nei momenti dolorosi o di sofferenza. Quindi, a tutti
i livelli si innesca una comunione totale che è una cosa molto bella perché non soltanto
sostiene la coppia, la famiglia che sta nascendo, ma sostiene anche tutte e due le
famiglie d’origine degli sposi. È molto bello vedere che il matrimonio non è soltanto
una cosa legata ai due coniugi, ma ha radici profonde. Importante è, anche, il riferimento
agli antenati, il che vuol dire, nello stesso tempo, riferimento a Dio, che è la base,
la sostanza proprio del matrimonio. Tu non puoi sposarti, nella cultura sahoué, senza
questo riferimento agli antenati e a Dio. Ti senti sostenuto da Dio e dagli antenati
e capisci che ci sono delle cose che non puoi fare: i divieti e le proibizioni, nella
cultura sahoué, hanno radici spirituali.
D. – Perché si pone l’esigenza
dell’inculturazione del cristianesimo nella cultura sahoué del Benin?
R.
– L’inculturazione si impone perché le nostre culture sono dei doni che Dio ci ha
fatto: lo Spirito di Dio ha messo nel cuore di ogni uomo dei valori. Ma per poter
realizzare questi valori, per poterci realizzare come uomini noi, a volte, troviamo
delle difficoltà, non riusciamo sempre a fare il “salto di qualità”, le nostre culture
non hanno queste possibilità. Allora, cosa fa il Vangelo? Il Vangelo arriva, come
una luce, per dire: “Nella vostra cultura, alcune cose sono buone, belle, Dio le ha
messe in voi. Ma ci sono anche delle ombre”, come ad esempio: nella cultura sahoué,
l’uomo può prendere più di una moglie, in alcune circostanze? E però la donna non
può avere altri mariti? Allora, in questo caso cosa ci direbbe il Vangelo? Il Vangelo
ci insegna ad amare la propria moglie e ad avere solo quella. E per quale motivo la
Chiesa ci chiede di prendere soltanto una moglie? Non è una cosa “campata per aria”,
ma si tratta, prima di tutto, di un’esigenza umana. I sahoué sanno benissimo che,
quando tu ami una donna, vuoi che sia soltanto per te e quando una donna ama un uomo
vuole che quell’uomo sia soltanto per lei, però non rispettano questo principio, contenuto
anche nel loro cuore, nella loro cultura. Allora: in questo caso, l’inculturazione
li aiuta ad avere una forza in più, perché credono in Gesù Cristo, per mantenersi
fedeli a Cristo. Ma quando uno è fedele a Cristo, alla fine è anche fedele a se stesso
e alla sua cultura.
D. – L’inculturazione del cristianesimo provoca
un contrasto o una successiva integrazione?
R. – Bisogna tener presente
che molte di queste popolazioni sono analfabete. Allora non si verifica tanto un contrasto,
quanto una misconoscenza di quello che la Chiesa ed il Vangelo richiedono. E questo
potrebbe portare qualche contrasto. Le nostre popolazioni in Africa hanno bisogno
di gente che le aiuti a capire cos’è effettivamente il Vangelo, cos’è il matrimonio
secondo la Chiesa, per spiegare bene loro i valori che hanno già, quello che propone
la Chiesa, il Vangelo, ed aiutarli a mettere insieme il tutto. Quindi, facendo così,
sicuramente – e questo si nota anche parlando con le popolazioni – le popolazioni
sono entusiaste perché capiscono quello che la Chiesa sta chiedendo loro. Perché fino
a quando la gente non capisce quello che la Chiesa sta chiedendo – in Africa come
nelle altre culture – viene vista sempre come un’imposizione. Ma non è vero, è solo
perché non capiscono. Se capiscono, invece, accettano questi valori. Cioè, se tu proponi
un cammino inculturato, per esempio, del matrimonio presso i sahoué, prendendo le
varie tappe già contenute nella loro cultura, spiegando loro le tappe del matrimonio
secondo la Chiesa, li vedi che rimangono a bocca aperta! Allora è lì che può nascere
una certa inculturazione, facendo vedere loro le cose importanti e quelle che non
lo sono. Il tutto alla luce del Vangelo e della Risurrezione.
D. -
Quindi, a chi è indirizzato questo libro?
R. – Soprattutto ai pastori
– sacerdoti, seminaristi, ricercatori – ma anche a quei sahoué che, essendo cristiani,
vorrebbero sapere di più come poter vivere la loro fede. Ma oltre a questo, il libro
pone il problema dell’inculturazione in generale in Africa: “come essere africani
e cristiani?” è una domanda che dobbiamo continuamente farci se vogliamo essere cristiani
convinti e convincenti in Africa. Questo libro, allo stesso tempo, risponde alla domanda,
ma la pone anche agli africani. Cioè, teniamo sempre a mente che siamo africani, ma
siamo chiamati ad essere discepoli di Cristo. E non discepoli qualsiasi, ma discepoli
veri di Cristo, che annunciano oggi che Cristo è la luce, il pane, la speranza per
il nostro popolo. Il libro vuole spronare gli africani dicendo loro: “Abbiamo tante
belle cose, ma dobbiamo essere vigili e rispondere alla domanda che Cristo ci fa,
ovvero ‘Per te, chi sono io?”