Thailandia: la popolazione scende in piazza contro la chiusura di scuole cattoliche
“No alla chiusura di Centri e scuole cattoliche per i bambini immigrati”: E' questo
l’appello lanciato dalla società civile thailandese al governo di Bangkok. La comunità
cattolica nel paese, è impegnata in attività di solidarietà, accoglienza, assistenza,
cura scolarizzazione dei bambini di famiglie di immigrati che giungono dai paesi confinanti
dove la situazione politico-sociale è difficile, come Myanmar, Laos, Cambogia. I bambini
sono spesso vittime del traffico di esseri umani, organizzato dalla criminalità e
trovano nelle strutture cattoliche un’ancora di salvezza, luoghi dove riconquistare
la dignità e poter crescere a livello umano, culturale e spirituale. Il nuovo governatore
della provincia di Ranong, Wanchat Wongchaichana, secondo quanto riferisce l’agenzia
Fides, ha annunciato infatti la sua intenzione di chiudere tutti quei Centri e quelle
scuole che si occupano di bambini immigrati, per contrastare il fenomeno dell’immigrazione
clandestina: nella provincia sono ben 96, molti dei quali gestiti da istituti religiosi
cattolici. L’annuncio ha generato una massiccia protesta della società civile locale,
orchestrata da organizzazioni per i diritti umani, associazioni e movimenti ecclesiali,
religiosi attivi nel servizio agli immigrati. Il Jesuit Refugee Service, organizzazione
molto impegnata nella zona, ha avvertito che il provvedimento potrebbe avere come
effetto un aumento del traffico di minori, del numero dei bambini soldato e della
prostituzione minorile, con un enorme danno alla comunità civile di Ranong. Nei Centri
gestiti dai Gesuiti, vi sono oltre 800 bambini birmani , soprattutto di etnia Mon,
fra i 5 e i 14 anni. Tutti sperano che l’annuncio del governatore non venga tradotto
in legge: la lotta alla clandestinità non può ripercuotersi sulla vita dell’infanzia.
(C.S.)