Rapporto-Proposta della Cei sulla sfida educativa da oggi nelle librerie
''Nel nostro tempo, l'educazione è diventata, in maniera nuova, un problema. Soprattutto,
sono diventati più incerti e problematici i rapporti tra le generazioni, in particolare
riguardo alla trasmissione dei modelli di comportamento e di vita”. E' quanto scrive
il cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato Cei per il progetto culturale,
nella prefazione del Rapporto-Proposta dal titolo 'La sfida educativa'. Al centro
del volume, da oggi nelle librerie, la necessità di affrontare concretamente l’emergenza
educativa, creando una solida alleanza e promuovendo una collaborazione a tutto campo
anche con i non credenti. Il Rapporto-Proposta sarà prersentato a Roma il prossimo
22 settembre. Il servizio di Cecilia Seppia.
Da
un lato fare luce sulla crisi e la debolezza dell’educazione e della formazione che
caratterizzano la nostra società, dall’altro fornire risposte concrete per superare
quella che sempre di più si pone come una vera emergenza. Questi gli obiettivi del
Rapporto-Proposta del Comitato per il progetto culturale della Conferenza episcopale
italiana, da oggi in tutte le librerie. Una fotografia della situazione educativa
in Italia che tiene conto dei problemi ma anche delle risorse, incoraggiando un ritorno
all’intelligenza, ai valori, al raggiungimento del bene comune. “Educare, sottolinea
il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, vuol dire accompagnare ciascun
individuo, lungo tutta la sua esistenza, nel camino che lo porta a diventare persona,
ad assumere quella forma per cui un uomo è autenticamente uomo”. Nella crisi epocale
che travolge la scuola, i maestri, la tradizione diventa perciò prioritario un processo
umano e globale, che lungi dal creare "buoni cittadini o solo buoni cattolici - spiega
il cardinale Camillo Ruini - presidente del Comitato, sappia invece creare uomini
veri". Per far questo però non basta una trasmissione tecnica di saperi e abilità,
occorre invece, secondo le parole del porporato, un lavoro complesso, concreto che
miri a ricostruire un ideale antropologico oggi perduto, una storia e una cultura
di cui dobbiamo farci carico - con la nostra libertà, ricordandoci che per essere
liberi occorre soprattutto sapere, ma solo l’educazione ben riuscita ci garantisce
il retto uso della libertà. Perché questo si realizzi, come emerge dalle pagine del
rapporto, bisogna infine creare una sorta di alleanza per l’educazione che sappia
coinvolgere il maggior numero di interlocutori, in tutti quei luoghi, come la scuola,
la famiglia, il lavoro in cui la difesa e l’implementazione di questo bene pubblico,
è fondamentale.
Sui contenuti e le finalità del Rapporto-Proposta
“La sfida educativa”, Emanuela Campanile ha sentito Ernesto Diaco, vice
responsabile del progetto:
R. – L’obiettivo
è quello di provocare una riflessione ulteriore sulle cause ma anche sulle direzioni
che dobbiamo intraprendere per affrontare questa sfida, questa questione educativa.
Se ne parla spesso in termini di un’emergenza – forse anche con un allarmismo un po’
esagerato – però raramente si va oltre un’analisi, magari anche la messa in luce di
alcune contraddizioni, di alcuni fenomeni spiacevoli della nostra società. Il Rapporto-Proposta
tenta d’indicare alcune direzioni, non è solo un’analisi con dei dati.
D.
– Chi sono gli attori principali di questo Rapporto-Proposta?
R.
– Non si ferma solo a ragionare di famiglia, di scuola e di comunità cristiana, ma
si parla di educazione in termini del mondo del lavoro, dell’impresa. Si parla di
educazione ragionando di consumi, di spettacolo, ovviamente anche di mezzi della comunicazione
e di sport. Si cercano di vedere tutti gli elementi in gioco nel processo educativo,
anche quelli che talvolta vengono sottovalutati.
D.
– Il ruolo della comunità cristiana qual è?
R. –
La comunità cristiana ha un patrimonio educativo straordinario, talvolta forse da
riscoprire e da aggiornare. C’è una responsabilità a suscitare nuove educazioni vocative.
Questo, forse, è quello che la comunità cristiana, oggi, può maggiormente fare non
solo per stessa ma per il Paese.
L’educazione è dunque
un bene pubblico che va difeso in ogni ambito. Ma per quale motivo spesso prevale
una forma di indifferenza generalizzata nei confronti di un’emergenza, di una sfida
prioritaria e ineludibile? Emanuela Campanile lo ha chiesto a Mario Pollo,
docente di pedagogia generale e sociale della Facoltà di Scienze della Formazione
alla Lumsa di Roma:
R. – Spesso
noi viviamo troppo centrati sul consumare il presente, sul vivere su ciò che il momento
offre dimenticando la dimensione progettuale che è tipica della condizione umana:
dimentichiamo che l’uomo deve vivere e sviluppare se stesso secondo un progetto. E
si pensa invece che la persona si sviluppi più per occasioni, per accadimenti contingenti
che, piuttosto, per un’azione che segue una linea progettuale. Allora, la crisi profonda
della progettualità che vive la nostra cultura, mette anche in crisi il concetto di
educazione.
D. – L’educazione è un qualcosa che nasce
– suppongo – da una collaborazione. Chi sono gli attori principali che dovrebbero
coalizzarsi perché l’emergenza educativa non sia più emergenza?
R.
– Oggi l’educazione non è più inscrivibile solo all’interno della famiglia o della
scuola, dell’associazionismo, della Chiesa: cioè, delle tradizionali istituzioni educative.
Ma deve espandersi all’intera vita sociale, cioè, la società deve diventare una società
educante. Questo è un vecchio tema della pedagogia sociale che era quello di fare
in modo che la società diventi educante. Quindi, accanto all’azione degli educatori
tradizionali, classici, la comunità locale dovrebbe sviluppare attività, azioni, luoghi
che favoriscano l’educazione delle nuove generazioni.
D.
– Forse gli stessi adulti dovrebbero essere educati ... perché, si pensa sempre ai
più giovani, però i giovani sono educati dagli adulti …
R.
– Il problema è che noi oggi siamo di fronte a molti adulti infantili, cioè adulti
che non hanno maturato la loro “adultità” e quindi, ad esempio, il senso profondo
di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni, la capacità – ad esempio
– di sottomettere i loro impulsi ad un piano dei valori, alla capacità di vivere la
sofferenza, il dolore, la sconfitta … cioè, adulti che abbiano elaborato profondamente
la propria “adultità”! E quindi, occorre un’azione che aiuti gli adulti a conquistare
la propria “adultità”. Però, c’è un vantaggio: che se un adulto si mette a servizio
dell’educazione, si impegna nell’educativo, mentre aiuta il giovane a crescere sviluppa
anche la propria “adultità”. Quindi, l’educazione è un luogo in cui l’adulto può aiutare
il giovane a crescere ma può diventare egli stesso più adulto. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)