2009-09-16 15:09:04

Sri Lanka: timori della Chiesa per gli sfollati nei campi profughi


“Sono molto turbato dalla sofferenza delle persone nei campi di raccolta, in situazioni di sovraffollamento e con inadeguati servizi medici e alimentari. La stagione dei monsoni li colpirà presto e potrebbe avere effetti disastrosi su centinaia di migliaia di persone bloccate lì. Anche durante le ultime piogge, alcune persone hanno perso quei pochi beni che restavano loro”: così il vescovo di Sheffield, monsignor John Rawsthorn, ha raccontato all'agenzia Misna cosa ha visto in uno dei campi per rifugiati nello Sri Lanka, dove si è recato con il vescovo di Westminster, monsignor John Arnold. I due presuli si sono uniti alla richiesta fatta nei giorni scorsi dall'arcivescovo di Colombo Malcolm Ranjith, e dal vescovo di Jaffna, Thomas Sauvdraayagam, nel chiedere il rientro a casa il più presto possibile dei 300.000 profughi tamil trattenuti nei campi, in maggioranza nella Malik Farm nei pressi di Vavunyia. Le restrizioni all’accesso nei campi e alla libertà dei rifugiati sono stati criticate da più fonti umanitarie internazionali. Il governo di Colombo ha promesso il rilascio entro l’anno degli sfollati, scampati all’ultima massiccia offensiva nei territori controllati dai ribelli; ma a tre mesi dall’impegno preso sono ancora poche migliaia quelli che sono potuti rientrare. Cause del ritardo sono sia le operazioni di sminamento non completate nelle ex-zone di conflitto sia i controlli fatti sui civili alla ricerca di ex-combattenti o persone coinvolte nella ribellione secessionista tamil. La Chiesa cattolica sta lavorando con le autorità locali per trovare sistemazioni alternative in attesa del rientro, hanno detto i vescovi accompagnati dai dirigenti dell’agenzia cattolica britannica per gli aiuti internazionali, Cafod, che collabora con la Caritas Sri Lanka per aiutare i profughi. Nonostante le promesse del governo - riferisce l'agenzia AsiaNews - i profughi di alcuni villaggi nel distretto di Mannar, nel nord dell'isola, tornati nelle terre che avevano abbandonato nel 2007 a causa degli scontri tra esercito e Tigri tamil, hanno trovato case ancora diroccate, campi impraticabili e una presenza massiccia dei militari. Mancano i servizi elementari e la situazione è talmente precaria che in villaggi come Kokkupadayan gli ottanta bambini della locale scuola elementare sono ancora costretti a studiare senza senza banchi e seggiole. Con la fine del trentennale conflitto il governo di Colombo aveva lanciato il mega progetto Uthuru Wasanthaya (il risveglio del nord). Era la promessa di una nuova vita per gli abitanti di una delle aree più martoriate dalla guerra, ma nell’area, la popolazione vive una libertà vigilata. Ai pescatori è concesso di uscire in mare solo dalle 6 di mattina alle 6 di sera. “I 4mila acri di terra che coltivavamo prima di fuggire - spiega un contadino - ora sono sotto il controllo dei militari”. Padre Seemanpillai Jayabalan, parroco di Aripputhurai, afferma: “Viviamo come in una prigione a cielo aperto senza nessuna speranza di sviluppo per la popolazione. La gente ha perso le sue proprietà e molte case non sono riparabili”. Le Ong non possono accedere alla zona, “ogni aiuto - spiega il sacerdote - deve passare attraverso la Rehabilitation Task Force del governo”. (R.P.)







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