Mostra di Venezia: Leone d'Oro per "Lebanon" di Moaz
Attribuiti ieri sera i Premi ufficiali della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Verdetto particolarmente attento alle questioni che offuscano il nostro presente:
integrazione, dialogo e pace si pongono come i grandi temi ai quali è urgente dare
risposte umanamente percorribili e concrete. Il Libano invaso dall’esercito israeliano
nel 1982 e l’Iran che soccombe agli intrighi politici internazionali – mossi da quell’oro
nero che sembra spesso dettare le peggiori scelte – e dice addio alla democrazia nel
lontano 1953. "Lebanon" di Samuel Moaz vince, scelta meritatissima, il Leone d’Oro
e rilancia, attraverso il cinema, gli orrori della guerra, di tutte le guerre, e la
difficoltà immane della pace. Con "Donne senza uomini" la video artista iraniana Shirin
Neshat debutta al cinema e ora può stringere subito tra le mani il Leone d’Argento
per la regia, attribuito alla sua opera in cui poesia, memoria, pittura e sogno si
fondono delicatamente per raccontare un pezzo di storia del suo tormentato paese in
parallelo ai tormenti privati di quattro donne a diverso titolo sole, abbandonate
e senza più illusioni. Panorama mediorientale presente in tutte le sezioni a Venezia,
così da attribuire a quella parte del mondo una importanza strategica per le nostre
società occidentali. Colin Firth vince la Coppa Volpi maschile nel pieno accordo di
tutti e Ksenia Rappoport quella femminile per il film "La doppia ora", debutto incerto
di Giuseppe Capotondi. Anche qui, però, una traccia di quei problemi piuttosto diffusi
dovuti ad un inserimento sociale mal gestito da parte di una cameriera assai poco
affidabile. Tra tante paure e drammi pubblici e privati, uno speciale inno alla integrazione
etnica arriva dallo scanzonato e imperfetto "A Soul Kitchen" di Fatih Akin che riceve
il Premio della Giuria. Ci sono così, a verdetti stabiliti, alcune mancanze comprensibili
affiancate da stupefacenti disattenzioni, pur coscienti che una premiazione lavora
sempre sul relativo. Tra le prime il prolisso e velleitario "Baarìa" di Tornatore
non suscita entusiasmi, se non negli ambiti della politica che in Italia troppo invade
il cinema dettando leggi e condizionanti giudizi; tra le seconde "Lourdes" di Jessica
Haussner è un’assenza imperdonabile, per una questione di puro cinema, di perfezione
formale, di interpretazione nobile e rigorosa. Così come l’avere ignorato un “patriarca”
della settima arte, il regista francese Jacques Rivette, che doveva aspirare ad un
riconoscimento per la sua lunga carriera ed è stato ignorato, forse imprudentemente
pensando che il cinema debba guardare soltanto al suo futuro. (Da Venezia, Luca
Pellegrini)