2009-09-13 14:51:21

Anno Sacerdotale: la testimonianza di padre Sila, cappellano in ospedale a Civita Castellana


Incontrare ogni giorno il Cristo sofferente, nel corpo piagato dell’infermo come nell’animo trafitto di una madre, che veglia il suo bambino al bordo d’un letto d’ospedale. E’ l’esperienza quotidiana di padre Giuseppe Sila, sacerdote polacco, da 4 anni cappellano presso l’ospedale “San Giovanni Decollato Andosilla” di Civita Castellana, nel viterbese. Un servizio speso accanto ai malati e ai loro familiari, per farsi uno con loro nella sofferenza della malattia e nella gioia della guarigione. Claudia Di Lorenzi ha raccolto la sua testimonianza per la nostra rubrica sull'Anno Sacerdotale:RealAudioMP3

R. – Alle sei e mezzo di mattina porto la Comunione in ogni stanza. Diciamo qualche preghiera, qualcuno si confessa, do la benedizione. Nell’ospedale sto nel reparto di chirurgia, medicina, maternità e pronto soccorso. Ci vuole quasi un’ora per fare il giro di tutti i reparti. Alle 18.30 di ogni sera c’è la Santa Messa e prima della Messa si scambia anche qualche parola con i malati, le loro famiglie che aspettano nei corridoi.  
D. - Con quali sentimenti si fa incontro a questa umanità sofferente?
 
R. – Quando vado all’ospedale provo sempre un po’ di trepidazione e di paura perché so che incontro Gesù che soffre e che aspetta qualche consolazione. Come uomo, però, sono anche contento ed anche stanco. Sia al reparto di medicina che in quello di chirurgia a volte i malati neanche parlano, qualche volta prendo loro la mano, faccio il segno della Croce sulla fronte. Qualcuno si lamenta anche e dice – a volte sorridendo e a volte parlando seriamente -: “Dov’è questo Gesù che pregate tanto per il suo aiuto?”. Cerchiamo di dare aiuto, di farli andare avanti. Come diceva San Paolo: “Cerchiamo di piangere con chi piange e di ridere con chi ride”.
 
D. - C’è qualche episodio che ricorda con particolare emozione?  
R. – Qualche volta può accadere che il malato voglia i sacramenti e la famiglia invece decida di aspettare ancora. In alcuni casi sono contento di aspettare perché a volte mi trovo d’accordo con i familiari ed altre, invece, con il malato. In ogni caso, tutti prendono con gioia i sacramenti, con la preghiera. Una signora una volta mi ha chiesto: “Padre, voglio confessarmi perché sento che tra qualche giorno il Signore mi chiamerà”. Si è confessata, ha preso la Comunione ed il giorno dopo è stata chiamata dal Signore. Quando poi passo nel reparto maternità ci sono le mamme che aspettano il loro bambino e delle volte succede che la mamma mi dica: “Padre, mi benedica la pancia perché c’è il mio bambino dentro” ed io lo faccio volentieri. Le mamme soffrono e piangono durante il parto. Prima c’è la sofferenza ma poi viene la grande gioia, come dice la Bibbia, per la nascita di un nuovo uomo. Una volta ci hanno chiamato perché il vicario del nostro vescovo era in gravi condizioni ed io, con trepidazione, mi sono recato lì. Avevo le mani che tremavano, ma gli ho dato comunque i sacramenti. Il vicario ha continuato a vivere, adesso si è ripreso e dice che grazie a me ha ricevuto la salute. Io ho risposto che non doveva ringraziare me ma il Signore, perché io sono soltanto il suo strumento.
 
D. - Come comunicare il significato della Croce, il senso ultimo del dolore dell’uomo, e dare speranza?
 
R. – Non è facile perché la sofferenza è un grande mistero ed ogni uomo vive la sua particolare e personale sofferenza. A Maria Santissima chiedo la salute per gli infermi e chiedo anche che ci aiuti a stare vicino a loro, perché qualche volta puoi non esser preparato bene, magari sei stanco e devi comunque portare a questi malati un po’ di sorriso e di speranza. Ci vuole sempre molta forza. Una forza che so non venire da me ma dal Signore. E’ lui che ci dà la forza per poter aiutare questi malati.







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